“Buone intenzioni ma riforma inaccettabile”. Guido Martinelli per Nuoto•com

Abbiamo intervistato Guido Martinelli, Avvocato, massimo esperto relativamente a tematiche amministrative del mondo sportivo dilettantistico, per avere un suo parere sul decreto riforma dello sport, tanto battuto e discusso in questi giorni.
L’avvocato Martinelli, in modo chiaro e semplice ha evidenziato debolezze e sottolineato come alcune posizioni potranno solamente indebolire lo sport e le società/associazioni sportive dilettantistiche.

 

Crede che uno stravolgimento così epocale possa avere benefici concreti sul sistema? 

Il giudizio che purtroppo va dato al decreto è negativo.

Incongruenze e mancanze sono molto ampie. Era inevitabile che un testo così ampio e strutturato potesse creare problemi. Veniamo dall’esperienza della riforma del Terzo settore, appena si è passati all’atto pratico sono sorti i problemi.

Il testo è stato scritto senza tener conto di valutazioni fondamentali , senza le quali diventa impossibile accettarlo. Non appare possibile separare la promozione sportiva, di competenza solo degli enti di promozione sportiva dall’attività agonistica svolta dalle Federazioni. Le due competenze si sovrappongono

A mio avviso il rischio è che il progetto revisione si areni. La legge 86 di cui questo decreto è figlio rimarrebbe comunque in vigore, dunque l’incertezza normativa è ancora più alta.

Il problema vero, domanda a cui non è facile rispondere è: meglio un bruttissimo decreto oppure una situazione di stallo come quella attuale, comunque debole?

 

L’istituzione del lavoratore sportivo che percorso dovrebbe avere a suo avviso? 

È dal 2000 che sto lavorando per questa causa, perché si arrivi alla configurazione del lavoratore sportivo dilettantistico.

È fondamentale evidenziare due problemi sostanziali.

Il primo è di natura quantitativa: prima non esistevano lavoratori sportivi, oggi tutti sono lavoratori, compresi gli arbitri ad esempio – difficili da concepire come tali.

Identificare tutti come lavoratori sportivi significa unificare. Necessaria una distinzione: ad esempio ci sono sportivi e tecnici che svolgono attività solo  per passione o legame alla maglia, comunque non per obiettivi lavorativi.

Ma il vero problema è legato alla sostenibilità. Trovo inutile generalizzare. Il movimento sportivo ha le risorse economiche per inquadrare i lavoratori come tali?
Si tratterebbe di una riforma che rimane sul tavolo perché non ci sono le risorse economiche che possano giustificarla.
Prima sono stati distribuiti soldi a pioggia, se vogliamo in maniera anche un po’ indiscriminata. Poi non esistono risorse per poter creare delle “soglie d’ingresso” nel lavoro sportivo, che possano essere meno impattanti di quelle previste nel testo di oggi. Oltretutto in periodo di Covid il passaggio sarebbe insostenibile.

 

La gestione di impianti sportivi in molti casi è uno strumento per sostenere l’attività, mi riferisco al nuoto in particolare, sia per la selezione, avviamento sia per il sostegno economico. Le modifiche non farebbero perdere sostenibilità? 

Si, assolutamente. Anche perché la storia degli impianti sportivi è breve e semplice.

I comuni prima gestivano direttamente, poi di tasca propria pagavano gli organizzatori sportivi per gestire gli impianti, poi solo le utenze, poi un canone richiesto, poi richiesta di manutenzioni ed infine costruzioni ex novo.

Oggi i Comuni non ce la fanno più a sostenere spese. Ma i gestori perché ce l’hanno fatta? Perché a parte competenze e elasticità di un’azienda rispetto ad una amministrazione, godevano di una serie di agevolazioni su una voce importante, quello del personale. Venendo meno tali agevolazioni gli impianti si chiudono. Un ragionamento forse semplicistico ma difficilmente confutabile.

 

Qualora l’attuale bozza dovesse essere applicata alla lettera, non pensa che lo sport possa fermarsi? 

A mio avviso i problemi potrebbero arrivare a club di sport di dilettantistici di alto livello.

La fascia esente dai 10.000 € rimarrà. In realtà l’effetto sarà che nessun compenso supererà i diecimila Euro. Il problema sarà l’aver creato uno scalino così costoso per il superamento della soglia dei 10.000€. Da un lato si è creato un deterrente per l’erogazione di compensi superiori, dall’altro il ripiego a soluzioni meno lecite per non superare la soglia. Un passo indietro insomma.

Per una piscina l’incremento dei costi del lavoro potrebbe vedere un incremento del 35%. Ma si farà in modo che tutti quei lavoratori non prenderanno più di diecimila euro. Di fatto verrebbe rinforzata ulteriormente la precarietà del lavoro sportivo dilettantistico.

 

Con l’ultima revisione del decreto i gruppi sportivi militari e di Stato: “possono essere altresì affidatarie dirette, a titolo gratuito e senza fini di lucro, di impianti o strutture sportive di proprietà di enti pubblici territoriali, sulla base di apposite convenzioni”. Non si tratta di un ritorno alla gestione pubblica?

Una delle cose che più mi ha stupito è stato il silenzio attorno al nuovo ruolo che i gruppi sportivi militari hanno in questo decreto. Si parla di posto nel Consiglio Nazionale e nella Giunta Esecutiva CONI, ad oggi inesistente, risorse economiche da Sport e Salute. Ma soprattutto la conquista della  possibilità di organizzare l’attività giovanile e non più solo per atleti arruolati; di fatto entrerebbero in concorrenza palese con le società civili,  che a differenza dei Gruppi Sportivi Militari devono trovare risorse.
Ultima novità, non per importanza, è relativa alla possibilità prendere direttamente in gestione gli impianti senza pagare nulla.

Si tratterebbe di un ritorno alla gestione pubblica. Si perderebbe di vista la salvaguardia delle associazioni e alle società sportive, perché in realtà siamo di fronte ad una militarizzazione delle attività.

In un medio periodo le società militari, professionistiche, saranno in grado di fagocitare tutto. Sono le uniche che riescono a programmare con la certezza delle risorse, indebolendo ulteriormente lo sport dilettantistico.

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