I dieci comandamenti dello sport (seconda parte)

(Segue)

Il sesto comandamento dello sport dice: non chiedere pronostici e non essere propenso a darne. È correzione del voler determinare prima un risultato anziché prepararsi per l’azione, col risultato dell’arroganza nel momento della dichiarazione e della inibizione con angoscia quando la previsione non si realizza. La virtù dell’atleta è sempre il confronto con la realtà e quindi il realismo. In questa posizione rimangono sempre possibilità di agire.

Il settimo comandamento dice: sii sempre attento a non mettere in ombra il tuo avversario. È un pensiero, tenere in onore l’avversario, che viene dalla cavalleria. L’uomo che può togliere la vita deve essere considerato con tutto il rispetto che merita il condividere lo stesso rischio.
è riconoscimento di parità ma anche testimonianza di tutto l’impegno, il lavoro, la fatica, la tensione, l’intelligenza, il coraggio e l’energia che saranno necessari per vincere l’incontro.

L’ottavo comandamento dice: Non sottovalutare l’avversario e non stimare troppo te stesso. Si tratta di un richiamo all’umiltà, la virtù principe dell’atleta amateur. L’umiltà non consiste nel mettersi in basso per farsi omaggiare, ma nel sapere esattamente quanto la nostra fragilità sia causa di disastri. Da dove viene allora la nostra capacità di vincere? Da quello che abbiamo ricevuto, quindi non è nostro e non ne disponiamo per sempre. Per questo è realista essere umili.  Nostro è il lavoro necessario per avere a disposizione tutto ciò che abbiamo preso nel momento della prova e il lavoro per usarlo con precisione, decisione, forza d’animo nel raggiungere lo scopo.

Il nono comandamento dice testualmente: ricorda che lo sport è un gioco e chi pensa altrimenti è uno stupido non uno sportivo. Prima questione: il gioco, però, soprattutto nei bambini, è una cosa serissima. Niente a che vedere con una cosa fatta pressappoco, magari ridacchiando. Questo è il gioco malato degli adulti. Seconda questione: il comandamento ricorda invece la leggerezza che il vero sportivo deve avere, la capacità di chiudere quando finisce l’incontro (il saluto nella pallanuoto ha questo senso, come il terzo tempo nel rugby), la capacità di prendersi anche un po’ in giro e di vedere il lato comico presente in ogni questione umana. Memorabile in certi momenti, il menaggio voltrese post partita della mia generazione. C’erano persone capaci di rendere buffissima ogni apparente tragedia sportiva. Non cito per non dimenticare nessuno.

L’ultimo comandamento dello sport li richiama tutti. Recita: onora sempre la competizione fatta, chi si è battuto lealmente e con tutte le forze vince anche quando perde. La questione finale è quindi cosa sia la vittoria. È l’ordine di arrivo? Il riconoscimento di un piazzamento rispetto ad un altro? La constatazione di un punteggio? La vittoria come riscontro di un dato è un evento che può accadere come no. Onorare la competizione non è nel cogliere questa vittoria, che può anche essere fortuna senza merito, superiorità senza competizione o ingiustizia, ma cercarla con tutte le forze (lo diceva anche il poeta Orazio). In un evento ci sono tante vittorie. La più grande vittoria è la riuscita nell’intento di onorare, amare e stare nella competizione senza perdere se stessi e ciò che ci fa uomini ammirabili. é saperci stare lealmente, nel rispetto della verità (la situazione, come sono andate le cose, cosa ho fatto, cosa ha fatto l’altro) e senza superare i limiti accettati (usare le abilità, l’esperienza, il coraggio, l’intelligenza e non la scaltrezza, la menzogna, l’inganno e l’offesa).

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