Patrimoni dell’umanità

Con tutto il rispetto per le colline del prosecco e le spiagge di Riccione, le vere eccellenze italiane da segnalare all’UNESCO sono Federica Pellegrini, Gregorio Paltrinieri, Simona Quadarella. E naturalmente Gabriele Detti, Martina Carraro, e tutte le altre medaglie passate e future del nuoto azzurro.

Da vent’anni, dall’epoca di Sidney 2000, l’ISTAT ci racconta che nuotano abitualmente circa cinque milioni e mezzo di italiani. Se vi sembrano tanti considerate che parliamo di meno del dieci per cento della popolazione. A ottobre 2019 l’Istituto di statistica inizierà la seconda rilevazione del censimento permanente delle persone e delle abitazioni, al termine del quale avremo informazioni aggiornate sulle caratteristiche socio economiche e sui consumi dei connazionali. Se quei cinque milioni e mezzo non saranno almeno raddoppiati, vorrà dire che facciamo schifo: come gestori di impianti, direttori sportivi, coordinatori.

Facciamo schifo perché, in una fase storica in cui conta solo l’immagine che si costruisce attraverso la comunicazione, riusciamo a non valorizzare un patrimonio di simpatia, stima, ammirazione, credibilità che sul mercato sportivo non ha eguali. Anzi: nel progressivo sfascio dello sport italiano degli ultimi trent’anni (confrontate le medaglie di Seoul 1988 con quelle di Rio 2016) il nuoto è l’unica disciplina regolarmente progressivamente e clamorosamente (se pensate alle crescenti difficoltà economiche e logistiche che affliggono le società sportive) in controtendenza. Siamo rappresentati da atleti che qualsiasi genitore vorrebbe avere come figli. Che troneggiano sulle copertine di riviste, contesi dai media senza mai abbandonarsi agli eccessi imbarazzanti di calciatori e showgirl. Perdonatemi il rigurgito di moralismo, ma vorrei farvi riflettere sulla enorme, incomparabile visibilità di cui l’intero movimento beneficia gratuitamente.

Il minimo che si può fare è dimostrarsi all’altezza.

13° Meeting Squalo Blu

Serravalle (RSM)
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