In risposta alla controversia di “una nuotatrice tossica”

Forse si dà davvero troppo per scontato che il nuoto, o lo sport in genere siano meravigliosi strumenti di formazione. Quando lo diciamo, forse, lo diciamo con troppa leggerezza. Lo diciamo come se fosse un automatismo. Un automatismo oltretutto, che si compie inevitabilmente. Peccato che nella formazione di un individuo non ci siano automatismi e che quando ci sono, questi automatismi, siano patologici. La formazione umana è sempre una vicende di persone e quindi di relazione. E come avviene sempre tra le persone e nelle relazioni, c’è un percorso da fare che è un percorso drammatico, pieno di rischi, di cadute, di incertezze, di contrasti, di contraddizioni… Insomma, quello che si sa che accade ovunque, in ogni casa, in ogni scuola, in ogni chiesa, quando degli uomini si incontrano seriamente e seriamente cercano di trasmettere qualcosa ad altri uomini.

Certamente per l’uomo la famiglia è una realtà preziosa, ma quanto può essere malata una dinamica familiare, quanti conflitti può generare? Quanto dolore e frustrazione si può vivere in famiglia? E poi esiste anche la famiglia mafiosa, quella perversa, quella fittizia… Eppure questo non toglie niente al valore della famiglia. Così è nelle altre realtà. Così è per lo sport.

Per interagire gli uomini hanno bisogno di forme, e tra le forme che ci possono essere ci sono forme migliori e forme peggiori. Noi che lo viviamo, riteniamo lo sport una delle forme migliori. Migliore perchè tra le sue caratteristiche ha quella di essere attraente. Migliore per il fatto che sua forma singolare, chiamata agonismo, costringe a tener conto dei fatti e a confrontarci con una realtà che ci mette totalmente in gioco. Migliore perché la possibilità che riesca, cioè che  rimanga, che non decada e che progredisca, è comunque legata a fattori necessariamente buoni:  buone relazioni per partire e buone relazioni per continuare, un lavoro serio per riuscire e un lavoro serio per appassionarsi, una visione ottimista per riuscire, una visione buona per concludere bene. Migliore perché costringe ad un confronto col limite, ad una presa d’atto dell’insuccesso, ad una sperimentazione continua del contributo degli altri. Al contrario non sta in piedi, delude, oppure castra, oppure uccide. Di fatto fallisce.

Solo in questi termini, io credo, sia possibile e non fraudolento, celebrarne pienamente la grandezza.

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