L’evento

Nel parco acquatico di Neptune Beach di Alameda, California, negli anni 20 del secolo scorso c’erano attrazioni di tutti i tipi. Si poteva gareggiare in pista dentro piccole automobiline, salire sugli ottovolanti, c’era una club house e c’erano luoghi per rilassarsi o farsi un bel barbecue in compagnia. Il venerdì e il sabato si ballava. C’erano giardini per il picnic, un parco immenso e un mare d’acqua a disposizione per sguazzare, nuotare e soprattutto tuffarsi. Per portarci la gente c’era anche un treno della Southern Pacific Company che ci finiva dentro. Erano gli anni ruggenti. Si respirava un clima di frivolezza. La middle class americana aveva appena assaggiato l’agiatezza e pensava non sarebbe mai finita. Per entrare ci voleva un centesimo e poi ci si poteva  divertire a oltranza. Per dilettare il pubblico il 9 Luglio del 1922 si esibiva in quella vasca enorme, un giovane nuotatore dell’Illinois Athletic Club, che il mese prima aveva cercato di sfidare Duke Kahanamoku senza riuscirci. Il vecchio campione probabilmente lo aveva snobbato per non mettersi alla prova con un pivello. Ma il ragazzo era forte davvero. Aveva già fatto dei record mondiali, aveva dei numeri, ma nessuno ancora se lo era ancora filato. Forse era troppo mingherlino per fare impressione. Erano tutti abituati ai fisici scolpiti alla Norman Ross. Giganti dalla faccia piena. Si vedeva che quel ragazzo veniva dalla fame. La sua esibizione erano i 100 stile libero, la distanza regina della velocità, il cui record di 1’00.4, apparteneva proprio al mitico Kahanamoku, la leggenda del crawl hawaiano. Quel tempo l’aveva fatto alle Olimpiadi di Anversa due anni prima, dimostrando una superiorità impressionante. Secondo, infatti, era arrivato il fratello Samuel, ma aveva toccato con quasi due secondi di distacco, senza impensierirlo. La vasca era splendida per l’epoca, ma non aveva corsie. Difficile anche andare dritti. C’era però tanta gente, e questo, a volte, fa. Era un pubblico di bocca buona, gente della domenica, gente che va in giro con la merenda nel cestino di vimini e con il plaid a quadri grossi per stendersi sul prato. Per cui, niente di cui preoccuparsi. Nessun giudizio da temere. Gli applausi erano assicurati, bastava qualcuno che sapesse fare qualcosa. Figuriamoci con un campione vero! Ma il ragazzo, quel giorno, forse, aveva qualcos’altro da dimostrare. Quel ragazzo quel giorno, forse, doveva dire qualcosa di un passato tormentoso da migrante, che lo aveva perseguitato e di cui voleva liberarsi. O forse quel giorno, era solo contento che le cose cominciavano a funzionare e la sua vita stava prendendo la svolta. Tra l’altro c’era il fatto incontestabile che tutti quegli occhi erano fissi solo per lui. Una bella sensazione per un ragazzo di diciotto anni. Fatto sta che ce la mise tutta per far bene, come fosse una finale importante e il tempo che venne fuori, 58.6, non solo infranse un muro che si riteneva insuperabile e cambiò la storia del crawl ma diede a quel ragazzo allampanato dal nome troppo tedesco di Weissmuller, una fama praticamente eterna.

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