Butini, La Torre, Velasco sulla preparazione giovanile

L’alta prestazione inizia dalla corretta preparazione dei giovani. Questo è il titolo del seminario che si è appena svolto al Centro di Preparazione Olimpica “Giulio Onesti” a Roma. Incontro formativo rivolto ai tecnici e dirigenti delle varie Federazioni che operano in ambito giovanile.

La partecipazione è stata veramente notevole. Complici sicuramente l’argomento trattato, che è delicato ma di forte interesse, e il relatore che ha aperto il corso: Julio Velasco! Credo sia superfluo dilungarsi nella presentazione di una persona che allo sport in generale, ma soprattutto a quello italiano, ha dato così tanto. Velasco non è un grande tecnico solo per i risultati che brillano nel suo curriculum, ma per il suo modo di pensare e di intendere lo sport. È un uomo che disarma per la sorprendente capacità di analizzare i problemi portandoli ai minimi termini, e per l’abilità con cui elabora soluzioni. Direi che incarna perfettamente il “problem solving” di cui spesso si parla ma che difficilmente riusciamo ad applicare. E anche in questa occasione non si è smentito.


Julio Velasco

Attualmente riveste il ruolo di Direttore Tecnico del settore giovanile maschile della Federazione Italiana Pallavolo. Ma nel suo intervento di apertura non ha parlato di volley, ha parlato di sport a 360° con riflessioni che ben vestivano qualsiasi disciplina. La prima era rivolta agli allenatori e all’importanza di continuare a formarsi ed informarsi. Parlando di sé stesso diceva che per poter crescere come tecnico lui evidenzia tutto ciò che è diverso da quello che solitamente fa, perché solo così può imparare. Non segue chi è d’accordo con lui… Lui cerca di seguire “quelli bravi”.

Ha subito focalizzato l’attenzione sul concetto di talento, termine a volte usato in maniera impropria, e di come sia difficile essere d’accordo sul significato di questa parola. Un atleta che ha talento potrebbe essere uno a cui le cose riescono facilmente, colui che è sopra la media… E quale sarebbe la media? Secondo Velasco il talento si trova in quell’atleta a cui le cose effettivamente vengono facili e nonostante questo riesce a mantenere un’elevata capacità di apprendimento. Parlare di talento con i ragazzi è una cosa molto delicata perché potrebbero fraintendere e poiché noi allenatori li facciamo sentire talentuosi diminuiamo drasticamente la loro voglia di migliorarsi. I ragazzi per loro natura vogliono migliorarsi. E come frutto di questi miglioramenti vogliono vincere. È insito nella natura umana, non dobbiamo inventare nulla.

Ha manifestato con forza il suo disappunto nel sentire continuamente dire che i ragazzi di oggi si muovono poco, non hanno la palestra “della strada o della campagna” che invece avevamo noi… Così dicendo facciamo capire ai giovani che noi eravamo meglio di loro. Ma allora lui si chiede come mai i risultati sportivi sono tremendamente migliori adesso rispetto agli anni passati. Sostiene che i giocatori mediocri sono più allenati alla frustrazione e per questo hanno più possibilità di essere vincenti. La fame di vittoria è uno degli strumenti migliori per allenare la capacità di adattamento e ottenere risultati. Invece spesso noi allenatori vogliamo che le condizioni di allenamento siano perfette o comunque le migliori che si possano avere. La frustrazione porta ai risultati, afferma con forza che uno dei lavori più importanti che si possano fare è quello di stimolare gli anticorpi delle difficoltà. Come è solito a fare, ha portato l’esempio dei bambini piccoli che vogliono arrampicarsi su una sedia: solitamente non vogliono l’aiuto di un adulto e provano e riprovano fino a quando ci riescono. E poi? Quando ci sono riusciti lo ripetono senza sosta. I bambini giocano “seriamente”.

Altra riflessione importante quella sull’importanza del modello tecnico. E per modello tecnico fa riferimento alle immagini, non alle parole. Evidenzia come la testa dell’allenatore ragiona per concetti, quella dell’atleta no. L’immagine si fissa con molta più rapidità rispetto ad una spiegazione verbale. E l’atleta riesce a migliorarsi prima. Ovviamente tutto questo deve essere accompagnato dal feedback, altro strumento importante a disposizione dell’allenatore. Ma molto spesso l’errore principale che il tecnico commette è quello di mettere sé stesso al centro del processo e non l’atleta e di focalizzare la sua attenzione su ciò che manca anziché su ciò che c’è. Quello che manca… Manca. Ma come tecnico devo valorizzare quello che c’è.

Afferma con forza che è una cosa normalissima che ci siano pochi atleti che arrivano all’alto livello e i tecnici non devono strapparsi i capelli per questo. Porta l’esempio dell’imbuto: entra molto liquido ma ne esce poco alla volta.

Conclude con una riflessione a mio parere molto profonda: “Possiamo ritenerci buoni allenatori quando non avremo più niente da dire, quando i nostri atleti non avranno più bisogno di noi”.

Da sinistra: Silvia Scapol, Antonio La Torre, Alessandra Cester (staff NPC), Julio Velasco

Il seminario è poi proseguito con una tavola rotonda su come gestire, valorizzare e supportare i settori giovanili. È stato un confronto molto interessante poiché i relatori provenivano da discipline sportive diverse. Il moderatore, Alessandro Donati, Coordinatore Metodologia dell’allenamento, Scienza dello Sport, ha introdotto l’argomento spiegando quanto sia importante per il tecnico avere il senso della prospettiva, ponendosi obiettivi immediati e a medio-lungo termine. La progettualità come componente fondamentale dell’attività.

La parola è poi passata alla Federazione Italiana Nuoto, rappresentata in questa sede dal Direttore Tecnico della Nazionale di Nuoto Assoluta. Cesare Butini ha sottolineato con forza l’importanza di avere tecnici formati e aggiornati per poter gestire e supportare il settore giovanile del nuoto e per poter procedere con una progettazione che valorizzi i giovani nel tempo con una prospettiva della pratica sportiva a livello assoluto. Tutto questo va fatto rispettando quelle che sono le fasi dello sviluppo dei ragazzi, evitando la ricerca del risultato immediato che solitamente porta ad una fine carriera abbastanza precoce. L’utilizzo di carichi molto intensi nell’allenamento giovanile porta ad una rapida risposta a questi stimoli e ad un precoce esaurimento del potenziale adattativo dell’organismo che è ancora in fase di sviluppo. La domanda corretta che un tecnico FIN dovrebbe porsi è la seguente: vogliamo prestazioni immediate o vogliamo un atleta di alto livello quando avrà vent’anni o più? La progettualità con i giovani deve considerare tre componenti fondamentali: l’aspetto tecnico, l’aspetto fisico e l’aspetto mentale. La Federazione Italiana Nuoto supporta le società, e quindi la valorizzazione e lo sviluppo del settore giovanile attraverso raduni di preparazione e di monitoraggio, partecipando a manifestazioni di rilevanza con obiettivi non tanto di vittoria, bensì di crescita.

Sono seguiti gli interventi di Marco Mencarelli, Allenatore Nazionale Pre Jr/U18 femminile; Paolo Girella, coordinatore attività U16 della Federazione Italiana Tennis; Paolo Nicolato, Allenatore Nazionale U21 Maschile FIGC e Massimo Carca, Direttore Tecnico giovanile Sci Alpino FISI. Pur parlando di discipline sportive diverse, erano tutti concordi nel mettere in evidenza come il settore giovanile sia il più delicato e che per questo motivo necessita dei tecnici più qualificati e più esperti. Non è un’attività che può essere improvvisata perché è la rampa di lancio per l’alto livello e perché è una fase di crescita in cui si possono trasmettere i valori educativi dello sport per far sì che anche chi non diventerà un atleta di alto livello sarà comunque un adulto migliore, che condurrà tendenzialmente uno stile di vita sano e lo saprà trasmettere.

La seconda giornata ha avuto come oggetto della tavola rotonda l’impatto dei nuovi stili di vita giovanili sulla pratica dello sport di vertice. L’intervento di apertura è stato fatto da Antonio La Torre, Direttore Tecnico Nazionale FIDAL. Ha subito specificato come sia importante distinguere nell’attività sportiva due tipi di fatica: quella fisica e quella mentale. La prima è da sempre oggetto di studio, la seconda ha cominciato ad attirare l’attenzione in tempi più recenti. Sottolinea come le nuove tecnologie, se mal gestite hanno ripercussioni negative sulla fatica mentale. Evidenzia che siamo in un’epoca dove l’avvento dei social ha cambiato le abitudini sociali, comprese quelle degli atleti e ha spesso spostato l’attenzione dell’atleta nel vedersi più realizzato con risultati “social” anziché di prestazione sportiva. Il tecnico si trova quindi ad affrontare sfide alle quali forse non aveva pensato… E non sono esattamente di tipo prestativo.

Antonio La Torre

Si sono susseguiti poi gli interventi di Giuseppe Vercelli, Psicologo, docente di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana, consulente e responsabile area psicologica Juventus FC; Francesca Vitali, Psicologa dello Sport; Cesare Pisoni, Direttore Sportivo Snowboard FISI ed Enrico Casella, Direttore Tecnico Nazionale Femminile e Responsabile delle squadre Nazionali Femminili FGI. I contributi degli psicologi trattavano soprattutto lo sviluppo dell’auto motivazione dell’atleta, aiutarli ad interpretare la modernità in cui vivono perché non gli si ritorca contro e sottolineavano come sia importante descrivere i giovani di oggi invece di giudicarli. Gli altri interventi, legati prevalentemente alla pratica della disciplina, facevano notare come le nuove tecnologie possano essere utili per migliorare gli allenamenti, attraverso analisi video che in contesti diversi e senza queste strumentazioni sarebbero stati impensabili. Quindi evidenziavano come un uso consapevole e ragionato possa addirittura apportare delle migliorie nel lavoro svolto dall’atleta e dall’allenatore.

Hanno fatto seguito l’intervento di tre personalità sportive notevoli: Valentina Turisini, Direttore Tecnico Squadre Nazionali UITS; Alessandra Sensini, Vicepresidente CONI e Direttore Tecnico giovanile FIV e Valter Molea, responsabile Settore Junior Maschile FIC. Ognuno di loro ha portato la propria esperienza nel passaggio da atleta a tecnico. Evidenziavano come il cambio di ruolo non sia per niente facile e scontato; spiegavano che la prospettiva cambia completamente e non è semplice comprenderla e riadattarla alle nuove esigenze. A volte l’essere un ex atleta con qualche medaglia pesante al collo diventa un’arma a doppio taglio. Bisogna essere bravi a sfruttare le proprie esperienze come bagaglio di nozioni pratiche, ma non dare per scontato di conoscere la metodologia dell’allenamento e ciò che va fatto da un allenatore con i ragazzi.

A chiudere queste due giornate dense di contenuti abbiamo avuto il piacere di poter ascoltare l’intervento del Segretario Generale del CONI Carlo Mornati. Ha accompagnato la platea in un “viaggio” attraverso l’analisi oggettiva dei dati che lo sport italiano ha raccolto negli ultimi decenni. Un’analisi che, nonostante la crisi economica e la popolazione notoriamente anziana, delineava comunque una nazione che per quanto piccola in panorama internazionale sa farsi sentire, riesce a mettersi in luce con risultati di eccellenza. Tutto questo grazie a tecnici qualificati che lavorano “chirurgicamente” e la capacità degli stessi e degli atleti di sapersi adattare alle varie situazioni.

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