Carlo Pedersoli: 90 anni di leggenda

Certo, al secolo è Bud Spencer, pilastro del cinema italiano, attore iconico come pochissimi, ma per noi rimane Carlo Pedersoli, primo italiano ad abbattere il muro del minuto nei 100 stile libero (59.50, 19 settembre 1950). Lo ricordiamo con l’intervista esclusiva concessa alla redazione di InAqua (il progetto editoriale dal quale ha preso vita AQA, del quale Pedersoli si era autoproclamato garante) nell’ormai lontanissimo febbraio 2007.

Il garante.

 

INAQUA MEETS BUD

Mai dare nulla per scontato.
Ci incontriamo di fronte allo studio di Carlo Pedersoli pronti ad una lunga anticamera e a un’intervista sbrigativa, da incastrare fra gli innumerevoli impegni di una persona alla quale, come leggerete più avanti, gli impegni non mancano.
Invece ci sta già aspettando… Con mezz’ora di anticipo rispetto all’orario concordato.
La signora Nelly, sua deliziosa collaboratrice di lungo corso (“Trentacinque anni… Praticamente una coppia di fatto!” scherza), ci introduce nello studio: Carlo è seduto alla scrivania e sta visionando il dvd di Banana Joe, uno dei film ai quali è più legato, avendone scritto personalmente, come sottolinea con malcelato orgoglio, la sceneggiatura.
E qui inizia il Bud che non ti aspetti: “Il cinema è tutto plagio”, spiega “Banana Joe non è altro che il Candide di Voltaire trasportato in Sudamerica. Le storie sono sempre le stesse: la bravura dello sceneggiatore sta nel farle apparire sempre diverse”.
Facciamo appena in tempo a presentarci: Pedersoli è un fiume in piena di idee, ricordi, aneddoti, che ti sommerge con il suo inconfondibile accento partenopeo.
Ad eccezione del Presidente, che riesce a mantenere un contegno istituzionale, i consiglieri Anaten sono fantozzianamente adoranti al cospetto di un personaggio mitico per almeno tre generazioni di italiani, pronti a prostrarsi al suo cospetto: è invece lui a ricoprirci di complimenti, lodando l’impegno dell’Associazione, informandoci di avere appena pagato la quota associativa!

Adoranti.

A stupore si aggiunge meraviglia nell’apprendere che Carlo ha letto da cima a fondo, e dalla precisione dei commenti si capisce che non èuna dichiarazione di rito, il numero zero di InAqua, del quale ha particolarmente apprezzato il contributo di Andrea Felici sul doping (liquida poi con un chist’so’ pazz’… la pretesa dell’ENPALS di allungare le zampe sui contratti sportivi paventata da Roberto Bresci).
Scopriamo così che, cinquant’anni e centoquattro film dopo la sua ultima gara, Carlo Pedersoli si considera ancora, in primo luogo, intimamente, un nuotatore.

“Il successo cinematografico me l’ha dato il pubblico, i titoli in vasca me li sono conquistati faticando”.
Ci eravamo preparati delle domande, ma Carlo le anticipa tutte.
“Ho iniziato a nuotare a Napoli, alla metà degli anni Trenta. Iniziai a muovere le prime bracciate presso il locale club di nuoto, poi venne la guerra. Nel 1940 papà decise per il trasferimento a Roma, dove mi dedicai al rugby e al pugilato prima di tornare al nuoto, la mia prima passione”.
Chiediamo ingenuamente il motivo per il quale ha abbandonato la boxe… “Li stendevo tutti… Mi dispiaceva per loro…”

Carlo Pedersoli è passato alla storia del nuoto per aver infranto la barriera del minuto nei 100 metri stile libero, ma nasce ranista: “Anche a rana non c’era storia… Primo, sempre”.
Poi, nel 1947, il trasferimento in Sudamerica (Argentina e Brasile): tre anni senza nuoto! Nel 1950 il rientro in Italia e, dopo pochi mesi di allenamenti, a Salsomaggiore, il record: 59’’50.
Da lì al 1957, una decina di titoli italiani, due Olimpiadi (Helsinki 1952 e Melbourne 1956, con la doppia convocazione nuoto-pallanuoto), altri due secondi di miglioramento, grazie anche a un trucco imparato durante un soggiorno negli USA: la virata a capovolta.
“Una virata mi costava quasi un secondo e mezzo” commenta preciso “con la capovolta scesi a quattro decimi ed entrai nell’élite internazionale… Per competere alla pari con i migliori al mondo mi mancava solo una cosa: il tuffo. Ad ogni partenza prendevo delle spanciate tremende, mi ‘piantavo’ e mi toccava ricominciare da capo”.

Esilaranti i ricordi delle lunghe trasferte in treno “Dormivamo in quattro in uno scompartimento di sei posti. Due stesi sulle panche (di legno… Terza classe!), due sui portabagagli (sempre di legno!). Ovviamente gli altri passeggeri ci costringevano a liberare i posti e a metterci seduti… Dopo un po’ adottammo l’abitudine di dormire completamente nudi: i passeggeri aprivano le porte e immediatamente le richiudevano, al grido di maronn’… E cche è? Non meno buffi gli innumerevoli altri aneddoti: “A Roma, durante un ritiro della nazionale, ci mandarono a cena in un elegante ristorante del quartiere Parioli. Un pasto medio costava settecento lire. Il nostro allenatore telefonò chiedendo che ci dessero da mangiare per tremila lire. Il ristoratore scoppiò a ridere: era quasi cinque volte la porzione media, e negli anni Cinquanta le porzioni erano abbondanti… Dopo un po’ che eravamo lì, il ristoratore telefonò infuriato all’allenatore: ‘se non mi dai almeno cinquemila lire li faccio cacciare dalla polizia!’”
Anche la pallanuoto ha un posto importante nei suoi ricordi: Pedersoli cita le cinque stagioni in cui giocò come centroboa della nazionale (“dopo Carlo Ghira, olimpionico a Londra 1948 e prima di Renato Desanzuane”), ma si capisce chiaramente che il nuoto è stato il vero amore.

Carlo Pedersoli è tutto meno che prevedibile: alla domanda su quale sia il suo ricordo più bello ci si aspetterebbe che citasse le convocazioni olimpiche, il record, e invece… “Era il 1953, subito dopo le Olimpiadi di Helsinki. La nazionale del Giappone era in tournee in Europa. Loro vantavano tre dei migliori velocisti al mondo. Li battei. La piscina esplose: la gente si tuffava in acqua vestita. Loro erano ‘cotti’ da un mese di tournee” ammette candidamente “io mi ero svegliato bbello bbello nel letto di mammà… Comunque, vinsi”.

Nel 1957 il ritiro, e tutte le difficoltà per il conseguente riadattamento alla vita “civile”.
E ancora una volta Carlo ci stupisce, nel momento forse più emozionante della nostra visita.
“Con la scritta Italia sul petto mi sentivo un superuomo. Bello, alto, vincente… Oggi ci sono le veline, negli anni Cinquanta il sogno del maschio italiano erano le ballerine di Macario… Io le aspettavo fuori dal Teatro Sistina e loro salivano sulla mia Lambretta anziché sui macchinoni parcheggiati di fronte. Mi sentivo invincibile. Ma mi ero perso. Non sapevo più chi ero. Non si può vivere di glorie passate. Se diventi schiavo del passato sei finito. Allora partii. Andai nell’unico paese dove non mi conoscevano, dove non avevo certezze: il Venezuela. Per ricominciare da capo. Il giorno che arrivai, uscendo dall’aeroporto sentii scoppi, botti… Un casino… Era appena scoppiata la rivoluzione! Trovai rifugio in una casa di italiani, lì vicino. Quando tornò la calma, trovai un impiego per la compagnia che stava costruendo la “Panamericana”, la strada di collegamento tra Paname e Buenos Aires.

Nel 1960 il ritorno in Italia.
Carlo Pedersoli nella vita ha fatto di tutto: tanto per dire, detiene una dozzina di brevetti, tra i quali quello per la prima auto elettrica realizzata in Italia (“Una Fiat Topolino alla quale avevo applicato due batterie ferroviarie. Andava a due all’ora e aveva un’autonomia ignobile… Però fu una delle prime…”), ha posseduto due compagnie aeree (vanta oltre 2000 ore di volo su jet, più di 400 in elicottero), ma al cinema non aveva mai pensato.
Aveva sì sposato Maria Amato, figlia del produttore de La dolce vita, ma si occupava di tutt’altro: per la precisione, di compravendita di automobili, quando, nel 1967, il regista Giuseppe Colizzi, amico di famiglia della moglie, telefonò a casa chiedendo a Maria se suo marito avesse ancora il fisico possente visto sui giornali, se parlasse inglese e se fosse capace di cavalcare.
Nonostante il triplice no (“Avevo già la panza, non ero mai salito su un cavallo, non spiccicavo una parola di inglese”), a Carlo viene comunque offerta la parte in Dio perdona… Io no!, che il nostro rifiuta per mancanza di accordo sul cachet: “Avevo due cambiali da due milioni in scadenza… Lui non mi offriva più di un milione… Lo mandai a quel paese (anche in questo caso il termine esatto è più preciso, ndr). Nonostante questo, dopo un paio di settimane richiamò offrendomi i quattro milioni. Evidentemente non aveva trovato di meglio”. Il film sancì l’incontro con Mario Girotti, meglio noto come Terence Hill: era nata la coppia che, con i successivi quindici film, avrebbe polverizzato tutti i record di incassi e di popolarità del cinema italiano. L’episodio offre il destro per esporre la regola delle “tre C” -come esposta in televisione dal grande Dino De Laurentis- più una: “Per andare avanti nella vita ci vogliono cuore, cervello, co***oni e, soprattutto, un gran c**o. Io ne ho avuto un bel po’. Cosa rappresenta la quarta “c” potete immaginarlo… Diciamo che ha a che fare con la buona sorte”.
Su quest’ultima affermazione ci permettiamo di dissentire, non eccessivamente peraltro, in quanto il tono non ammette repliche e comunque non ce ne sarebbe il tempo, perché Pedersoli sta già applicando la regola al caso di Terence Hill: “Il film avrei dovuto girarlo con un certo Peter Martell (Pietro Martellanza), trentino, il quale, la sera prima dell’inizio delle riprese, si ruppe un piede durante un litigio con la fidanzata. L’unico attore disponibile per la parte, in pieno Giugno, era Mario, che in quel momento stava girando un western con Rita Pavone, Rita nel West (!)… Lui mi conosceva, aveva dieci anni meno di me, nuotava nella Lazio Nuoto… Il resto lo sapete. Sedici film insieme, mai un litigio, mai un’incomprensione. Siamo due persone perbene. Poi lui si è fissato con l’America, ha preso la cittadinanza, ha cambiato nome”.

Dopo aver superato di un’ora i trenta minuti concordati, realizziamo che forse è il caso di realizzare l’intervista. Paradossali le scuse di Carlo per essersi “dilungato”, a noi che, potendo, ci faremmo preparare una cuccia sotto la scrivania e resteremmo ad ascoltarlo per giornate intere.

InAqua: Ricorda i suoi allenatori? Che rapporto aveva con loro? Collaborativo? Gerarchico? “Je menava”, come ha insinuato il presidente FIN Barelli durante la consegna dei diplomi di allenatore?

Carlo Pedersoli: “Ho un ricordo particolare di Camillo De Giovanni, che mi ha formato anche come pallanuotista… Ricordo incontri “biblici” in Russia, Olanda, Spagna… Karpati, giocatore della nazionale ungherese olimpionica nel 1952 e nel 1956, mi ha spedito una videocassetta: Italia-Ungheria, a Budapest, vittoria italiana: una cosa incredibile! Rigore per l’Italia all’ultimo minuto: Majoni (ct dell’epoca, ndr) esce dalla piscina per non assistere. Il portiere era immenso: ovunque avessi tirato la palla, l’avrebbe presa. Da buon napoletano pensai: e come lo frego, questo? Tra testa e spalla! Senza guardarlo, fissavo le guance dell’arbitro -la vista è più rapida dell’udito. Fischio. Il portiere esce fino alla cintola. E io lì l’ho fregato! Tra testa e spalla! Testa e spalla… La palla del fesso! Era furibondo!”

Nelly interrompe il racconto per sottoporci uno dei tanti sondaggi via internet che proclamano Bud Spencer l’attore più amato del cinema italiano, davanti, tanto per dire, a Totò e Alberto Sordi…

IA: Sa che digitando “Bud Spencer” sul principale motore di ricerca il suo nome compare 1.130.000 volte? Contro le 615.000 di Alberto Sordi? e le 420.000 di Raoul Bova?

CP: “Beh, ma perché Sordi è morto! Sordi era un grandissimo” Bud concede l’onore delle armi all’Albertone nazionale, ma si vede che la notizia gli fa piacere, e coglie l’occasione per mostrarci alcuni degli innumerevoli libri scritti su di lui, fra i quali spicca la tesi di laurea Bud Spencer, Terence Hill e la rinascita del cinema italiano e ricordarci la sua ultima fatica cinematografica Cantando dietro i paraventi, diretto da Ermanno Olmi, “Il mio unico film serio… Dove non meno nessuno…”

Pur non possedendo le competenze minime per disquisire di cinema, a questo punto avvertiamo l’urgenza di sottolineare come i film di/con Bud Spencer siano degli assoluti capolavori, che resteranno nella storia del cinema e nel cuore di milioni di spettatori, come le pellicole di Charlie Chaplin o di Stanlio e Ollio… Se questi artisti furono “poco seri”, allora condividiamo in pieno la valutazione di Bud… Andremo senz’altro a vedere Cantando dietro i paraventi, ma non rinnegheremo mai Bambino, Banana Joe e Piedone lo Sbirro!
Modestia a parte, Carlo ha ben chiare le dimensioni planetarie del suo successo: “Ricevo ogni mese in media millecinquecento lettere, da tutto il mondo… Qualche anno fa erano cinquemila”, del quale offre anche chiavi di lettura inedite “I miei film vanno fortissimo nel mondo arabo… Perché non ci sono donne!”

È difficile, e francamente in certi momenti pare riduttivo, riportare la conversazione sull’argomento natatorio, ma ci proviamo.
IA: Si dice che un nuotatore è stato ben ambientato se non ricorda la prima volta in cui è entrato in acqua. Lei può raccontarci qualcosa al riguardo?

CP: “Me la ricordo eccome! Eravamo su una barca di amici, ormeggiata di fronte a Seiano, penisola amalfitana. Avevo quattro anni: come si usava allora, il marinaio mi gettò in acqua, incitandomi a risalire da solo. Ce la feci. Tornati al porto, fui festeggiato da tutto il paese. Mi sentivo un eroe. È un ricordo bellissimo. Mi rendo conto che al giorno d’oggi è un metodo improponibile… Apprezzo molto l’attenzione con la quale seguite i giovani. Lo sport è importante. Il nostro sport è importante. È una delle poche attività sane che i nostri ragazzi possono praticare. La prima gara a otto anni e mezzo, al Circolo Canottieri Napoli”.

Ci sforziamo di mantenere un minimo di decoro comportamentale, ma dovunque giriamo lo sguardo troviamo immagini scolpite nel nostro immaginario.
Ci sbrachiamo indecorosamente: estraiamo i poster di “Più forte ragazzi” acquistati la sera precedente a un mercatino e imploriamo l’autografo, mentre Nelly ci omaggia dell’ultima fatica di Carlo: un EP contenente Futtetenne, ballata da lui scritta e interpretata.

Dopo che un redattore ha confessato di svegliarsi tutte le mattine al suono della soundtrack di “Lo chiamavano Bulldozer”, anch’essa scritta e interpretata dal protagonista, tentiamo di recuperare un atteggiamento più dignitoso. Impossibile.
Nelly torna con una busta di foto d’antan, tra le quali ci incuriosiscono alcune che lo ritraggono a bordo di un caccia dell’aviazione USA “Con il cupolino aperto… Ero troppo grosso… non riuscivano a chiudermelo. Hong Kong, 1975. Stavamo girando Piedone a Hong Kong. In piena guerra del Vietnam. Nella baia attracca la portaerei atomica USA Eisenhower per fare rifornimento. I marinai in libera uscita mi assalgono per chiedermi l’autografo: a bordo della Eisenhower proiettavano Lo chiamavano Trinità! L’ammiraglio mi invita a bordo per cena… Mi presento con cinque-sei persone della troupe… Tutti comunisti! Stàteve zitti, gli ho detto, se no ce arèstano tutti...”

IA: Quanto si è divertito? E quante vite ha vissuto?

CP: “Solo due cose non ho fatto: il fantino e il ballerino d’opera. Di certo non avrei mai pensato di fare l’attore. Le prime comparsate servivano solo per arrotondare lo stipendio e pagarsi qualche sfizio. Bud Spencer, come vi ho raccontato, è nato per caso… Anche il nome: Carlo Pedersoli non lo volevo compromettere con un mestiere poco serio come questo (la frase originale suona più caustica, ndr). Mi piacevano Spencer Tracy e la birra Budweiser… Ed ecco Bud Spencer. Un nome che doveva durare il tempo di un film, e siamo arrivati a centoquattro… Tutti da protagonista! Non chimico, non avvocato, non sociologo… Ma il mio vero divertimento è stata l’aviazione.
Ho imparato a pilotare un aereo, per caso, sul set di Più forte ragazzi, tra Colombia e Venezuela, sotto gli occhi terrorizzati del regista e della troupe. Non a caso è il mio film preferito. Oggi ancora volo, e questo per me rappresenta il trionfo della volontà di fare le cose. Il resto è arrivato perché evidentemente era destino… Si è mai visto uno di centocinquanta chili, con la panza, recitare da attore protagonista? Incredibile!”

Noi restiamo della convinzione che emergere in un ambito può essere questione di fortuna, ma primeggiare in tutti è talento. Ciononostante, il punto di vista di Carlo Pedersoli è chiaro:
“Se dovessi scrivere un libro sulla mia vita lo chiamerei Il dilettante. Anche se qualcosa doveva esserci… Terence Hill andava spesso negli USA: a un certo punto giro Anche gli angeli mangiano fagioli, con Giuliano Gemma. Successo strepitoso. Seconda parte: Anche gli angeli tirano di destro. Io ero impegnato. Mi sostituiscono con un tizio somigliante da affiancare a Gemma. Non andò molto bene…”

IA: Approfittiamo allora per informarla che sul nostro sito è attiva la sezione “SOS Lavoro”… Se vuole cimentarsi anche nell’insegnamento…
Sorride, ma si vede che ci sta pensando seriamente.

Si è fatto tardi. Bud è stanco, ma asseconda di buon grado la nostra adorazione, scusandosi nuovamente (!) per averci fatto perdere tempo (!!). Infine il Presidente ci richiama all’ordine, ma prima di congedarci il nostro ospite ci offre l’ultimo regalo: la sua poesia Mare:

Mare
Dio ti ha donato
il seme della vita.
Sei calmo, a volte mosso, quasi sempre agitato. Le tue onde raggiungono la costa
e una sola goccia
della tua schiuma bianca
copre
e rende madre la Terra

Sono le 14.30.
Abbiamo “sforato” di due ore… Non possiamo che accomiatarci, non senza prima avere ulteriormente abusato della disponibilità di Carlo per le foto di rito.
Cosa resta di questa giornata? Sentimenti forti: chi non è cresciuto con Bud Spencer e Terence Hill non può capire, agli altri spiegazioni non servono. Un pensiero merita però di essere espresso.
È assai raro che la vita privata dei personaggi pubblici sia all’altezza della loro immagine: quanto maggiori sono le aspettative, anzi, tanto più cocente, generalmente, la delusione.

Bene: Carlo Pedersoli è una persona incredibilmente sensibile, simpatica, ammirevole… Molto più di Bud Spencer.
E questo ci pare il miglior complimento che gli si possa fare.

Roma, 15 Febbraio 2007.

Ph. ©G.Scala/Deepbluemedia

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