Ethelda e le donne

Niente donne.

All’inizio nessuno voleva che le donne nuotassero. Nemmeno De Coubertin. I maschi avevano inventato la balla pietosa della debolezza dell’altro sesso per darsi ragione. Le australiane Fanny Durack e Mina Wylie per partecipare ai Giochi Olimpici di Stoccolma, i primi in cui nuotavano anche le donne, dovettero garantirsi un accompagnatore: la sorella per Fanny, il padre per Mina. Fallita la questione debolezza, l’opposizione alle donne finì con l’infilarsi nel pantano della questione della pubblica decenza. Dominava il mondo anglosassone e l’epoca era quella vittoriana. La questione era spinosa. Guardare le donne, vedere il loro corpo, era indecente per un gentiluomo. Lo faceva di nascosto, con tutta la pruderie dell’inizio secolo, ma lo negava in pubblico. Naturalmente il corpo dell’uomo era un’altra cosa.

L’abito da bagno.

Così alla donna fu imposto l’abito da bagno. Aileen Riggin, medaglia d’oro di tuffi ad Anversa, spiegò in un articolo come erano fatti quei costumi. Quelli che dava la federazione americana nel 1920 erano di cotone. Coprivano le braccia fino ai gomiti e le gambe fino al ginocchio. Le nuotatrici preferivano usare i propri, insistendo sul fatto che quelli “ufficiali” compromettevano la gara. Dopo aver recitato in un film che ripercorreva la storia del costume da bagno, Aileen raccontò così le sue impressioni: “Ho dovuto indossare questo abito modesto e avvolgente della fine del XIX secolo, inizio del XX. Dopo un primo tentativo, mi sono rifiutata di tornare in acqua nonostante la rabbia del regista. Il fondo mi è salito sopra la testa, il cappello si è bagnato e mi è scivolato sugli occhi, le scarpe hanno cominciato a pesare e ho dovuto lottare per mantenere l’equilibrio. Ero vicina più che mai ad affogarmi da sola.

Nude Swim

Le donne che volevano nuotare dovevano essere pronte a lottare contro tutto. Per questo le prime nuotatrici furono donne tostissime, oppure stranissime. Una donna del primo tipo fu l’americana di New York Ethelda Bleibtrey. Aveva cominciato a nuotare per guarire dalla poliomielite, ottenendo con la sua decisione, la sua prima vittoria. Diventata famosa  per essere stata l’unica a battere Fanny Durack nel suo tour in America, si trovò impelagata nella questione delle calze. Il puritanesimo dell’epoca, infatti, imponeva alle donne che volevano nuotare di coprirsi. Coprirsi significava prima di tutto indossare costumi di cotone o lana, goffi e ingombranti, che quando si bagnavano si allungavano da tutte le parti, diventando un vero ostacolo per i movimenti. Tra l’altro si attaccavano al corpo e il loro obiettivo di coprire, una volta bagnati, veniva assolutamente vanificato. Non era ancora stato inventato il nylon, la fibra sintetica che avrebbe rivoluzionato la questione. In secondo luogo voleva dire indossare le calze. Queste, come ci si buttava in acqua, si inzuppavano, diventando un elemento drammatico per il movimento di Kicking. Chi non stava alle regole aveva problemi. Si poteva andar “dentro” per “nude swimming“, che tra l’altro poteva voler dire anche solo “levarsi le calze”. Molte donne si opposero a questa limitazione. Nella foto si vede un episodio famosissimo di un arresto per “nude swimming“.

Nel 1919 Ethelda, sulla spiaggia di Manhattan, in piena consapevolezza, si tolse le calze per nuotare. Naturalmente scoppiò lo scandalo. Vinse anche questa battaglia, seppure non immediatamente, perché grazie al suo gesto e alla sua fama, ad un certo punto, anche quest’obbligo finì per cadere.

Resistere a tutto.

Era già famosissima per aver vinto tutte le gare di Anversa quando fu arrestata. Passò anche la notte in prigione. Il fatto era che nuotare a New York era un problema e per le donne era un problema ancora più grosso. Questa volta Ethelda si era opposta alla proibizione di fare il bagno nel lago di Central Park. Lo aveva fatto tuffandosi davanti a numerosi giornalisti e alla presenza di un folto pubblico. Naturalmente la polizia non poté fare a meno di intervenire e arrestarla. Rimase in prigione finché non arrivò il  sindaco, Jimmy Walker, a tirarla fuori dai guai. Ma anche questa volta raggiunse l’obiettivo. Spinte dall’opinione pubblica e da tutto quel clamore, le autorità cittadine decisero di costruire una piscina proprio lì. In seguito si seppe che l’azione era stata pianificata a tavolino in collaborazione col  “New York Daily News” e che Ethelda aveva ricevuto anche un compenso per quell’operazione di “marketing sociale”.

prima tra molti

Ethelda Bleibtrey fu anche la prima ad imitare Irene Castle, la ballerina americana che aveva scandalizzato l’opinione pubblica presentandosi coi capelli tagliati corti da maschietto. Quel gesto voleva colpire la tradizione dell’obbligo che avevano le donne di tenere i capelli lunghissimi, custoditi come reliquie per il piacere degli uomini. A Ethelda quell’atto era piaciuto moltissimo. Così decise di rifarlo insieme alla compagna Charlotte Boyle, durante la tournee che fecero in Australia dopo l’Olimpiade. Ethelda fu anche la prima ad aderire alle proteste di Norman Ross per il trattamento ricevuto dalla squadra americana ad Anversa. Gli atleti avevano fatto il viaggio di andata su una nave militare ancora satura dell’odore dei morti che aveva trasportato dal fronte. Come non bastasse, arrivati in Belgio, si erano trovati alloggiati alla belle meglio in una vecchia scuola elementare. Così alcuni dei migliori atleti del mondo organizzarono un sit in nel porto della città olimpica, finché non ottennero dal proprio comitato olimpico garanzie di condizioni più favorevoli per  il futuro.

Ethelda Bleibtrey fu anche la prima ad indossare in gara una cuffia da nuoto. Il fatto forse non fu forse così rivoluzionario come gli altri, ma fu sicuramente un altro piccolo tassello verso l’emancipazione definitiva delle donne nello sport.

 

 

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