Filippo Magnini: quando lo “stile” rende “libero”

È stata finalmente resa nota l’attesa decisione (lodo) del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS), che si attendeva dal novembre scorso, per il pluricampione italiano Filippo Magnini.

Il TAS, sul ricorso presentato il 14 Maggio 2019 dal nuotatore, ha ribaltato la sentenza di secondo grado della Sezione II del Tribunale Nazionale Antidoping (TNA), organo della NADO Italia – l’organizzazione nazionale antidoping, derivazione funzionale della Agenzia Mondiale Antidoping (World Anti-Doping Agency, WADA) con la responsabilità esclusiva in materia di adozione ed applicazione delle norme in conformità al Codice Mondiale Antidoping (Codice WADA) – annullando la squalifica di quattro anni inflitta al nuotatore.

La totale difformità tra le due pronunce nazionali, quelle della Sezione I e della Sezione II del TNA da un lato, e il lodo TAS dall’altro, potrebbe apparire come un’inspiegabile contraddizione, considerato che è verosimile ritenere che i fatti e i documenti sottoposti all’attenzione e al vaglio dei Collegi giudicanti siano stati, sostanzialmente, gli stessi: in ogni caso, non è pensabile che avanti al TAS siano intervenute circostanze o elementi nuovi tali da stravolgere l’intero impianto fattuale dei primi due gradi di giudizio.

Ad onor del vero, una novità era intervenuta: la sentenza del 3 luglio 2019 del Tribunale penale di Pesaro, con la quale il medico nutrizionista di Magnini, il dott. Porcellini, era stato assolto dal reato di commercio e cessione di sostanze anabolizzanti. È verosimile che tale pronuncia sia stata portata all’attenzione del TAS e sarà interessante capire dalla motivazione la valenza che può aver avuto in quella sede.

In ogni caso, e al netto di questo elemento, il discrimine perché vi siano state pronunce così diverse, non appare dato dal differente materiale istruttorio sottoposto all’esame dei giudicanti, ma dalla diversa valutazione dello stesso da parte dei Collegi, finalizzata alla verifica del raggiungimento dello standard probatorio.

Sul punto, si faccia chiarezza.

Il livello di prova che deve essere raggiunto avanti al TAS è quello del c.d. comfortable satisfaction: quel grado di prova, più attenuato rispetto a quello tipico del processo penale italiano, dell’“al di là di ogni ragionevole dubbio”, che si sostanzia nel principio del “più probabile che non”, tipico dell’ordinamento sportivo.

Nel caso Magnini, la controparte del nuotatore era rappresentata dalla Procura Nazionale Antidoping, PNA, organo della NADO Italia, con funzioni inquirenti, cioè che indaga, e requirenti, cioè che rinvia per il giudizio davanti al TNA i soggetti ritenuti colpevoli di aver violato la normativa antidoping.

La struttura dei processi per doping, generalmente, vede l’esito delle analisi o il riscontro dei mancati controlli (v. nostro articolo del 21.02.2020 su Ruta Meilutyte) quali elementi probatori sufficienti per raggiungere lo standard probatorio richiesto: non può generalizzarsi, ogni caso è a sé e ogni elemento deve essere contestualizzato, ma, solitamente si assiste alla PNA forte dei propri elementi di prova e l’incolpato che deve invece trovare elementi ed argomenti che possano scagionarlo dall’accusa di aver violato la normativa antidoping (in gergo tecnico giuridico si dice che “si inverte l’onere della prova”).

Diverso, invece il caso di Magnini: il tentato uso di sostanze dopanti imponeva una vera e propria ricostruzione dei fatti da parte della PNA con tanto di necessari elementi oggettivi per corroborarli e costruire un’ipotesi accusatoria che potesse reggere avanti al Collegio giudicante del TNA. Si trattava cioè di soddisfare quell’onere probatorio necessario perché potesse configurarsi una violazione che comportasse una sanzione.

Ebbene, chiudendo il cerchio rispetto a quanto sopra detto sulla valutazione dei Collegi, evidentemente le risultanze istruttorie sottoposte all’esame del TNA sono state ritenute sufficienti per la condanna, mentre sono state valutate del tutto inconcludenti per il TAS, che ha assolto l’atleta.

Evidentemente la presunzione di innocenza, che poneva a carico della PNA l’onere di dimostrare la colpevolezza del nuotatore, è stata ritenuta superata dal TNA, ma non così dal TAS, che infatti non ha ritenuto soddisfatto l’onere della prova: nell’adottare la propria decisione, il TAS ha assolto il nuotatore, ritenendo che non vi fossero prove sufficienti per ritenere che egli avesse violato il Codice Anti Doping [nel comunicato TAS si legge: “Panel determined that there was insufficient evidence to conclude that Filippo Magnini had violated the WADC (Codice WADA)].

Si avrà modo di capire meglio quanto accaduto in quel di Losanna e quale ragionamento abbia effettivamente seguito il TAS dalla lettura dell’intera decisione.

Per ora è possibile affermare che lo “stile” di Filippo Magnini, che si è sempre proclamato innocente e doping free, unitamente alla impeccabile prestazione professionale dell’avv. Maria Laura Guardamagna, lo ha ripagato della fatica affrontata e lo ha davvero reso “libero” e vincente di fronte ad un’accusa di doping, che non ha retto all’integerrimo vaglio del massimo organo della giustizia sportiva mondiale.

Autori:

Cristina Varano – Avvocato del Foro di Roma; esperto di giustizia sportiva; Procuratore Federale FIJLKAM/FIPE; Procuratore Aggiunto FISE

Andrea Doro Laureando in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Trento; Ufficiale di gara FIN (Arbitro nazionale di pallanuoto – Serie A2)

Foto copertina © Andrea Staccioli Deepbluemedia Inside

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