Andrà tutto malissimo

Invidio davvero l’ottimismo querulo di chi in questi giorni festeggia sui social annunciando l’imminente riapertura della propria piscina.

Lasciando da parte quella sparuta percentuale di privilegiati che ancora godono di consistenti contributi in conto gestione, e dai quali è evidentemente legittimo pretendere la riattivazione del servizio, mi chiedo se tutti gli altri -quelli che si pagano tutti i costi di gestione oltre magari all’affitto e a un mutuo acceso per la ristrutturazione dell’impianto, hanno una vaga idea di ciò a cui vanno incontro.

Sugli aspetti finanziari hanno spiegato tutto benissimo gli amici di Piscina una gestione sostenibile: per un impianto di dimensioni standard, riaprire rispettando le linee guida dell’Ufficio sport della Presidenza del consiglio dei ministri significa rimetterci tra i 75 e i 350mila euro l’anno, con i 75mila come ipotesi straordinariamente ottimistica.

Ma se questo non bastasse vi invito a riflettere sul fatto che, ai sensi dei protocolli di sicurezza pubblicati il 14 marzo e il 24 aprile si configura una responsabilità penale del gestore nel caso un istruttore si ammali sul posto di lavoro. Immaginate la scena: istruttore manifesta i sintomi del Covid, si reca presso le strutture sanitarie, entro due ore vi trovate in piscina ASL, NAS, ARPA, esercito, carabinieri, protezione civile, giovani marmotte. Il giorno dopo siete su otto colonne in cronaca additati come untori.

Per non parlare delle conseguenze in termini penali, civili e di immagine di un eventuale focolaio di coronavirus tra i frequentatori dell’impianto.

Perché è evidente che nella smania di “riaprire tutto” per non pagare un conto politico troppo salato le istituzioni centrali e ancor più quelle locali stanno scaricando sulle spalle degli imprenditori, sportivi e non, tutto il peso dei rischi connessi all’allentamento delle misure di contenimento.

Essendo altrettanto evidente che nessuna delle istanze del settore otterrà accoglienza, ci troveremo così ad essere i vasi di coccio fra amministratori locali che chiedono di riaprire, un conto economico che non può stare in piedi in nessun modo, avendo come unico benefit la possibilità di prolungare di qualche anno concessioni delle quali rischiamo di non vedere la fine o di contrarre a condizioni particolarmente vantaggiose debiti che non saremo in grado di ripagare.

Il tutto senza considerare che, non essendo un vaccino neppure all’orizzonte e non essendo stato predisposto un programma capillare di tamponi, tracciamento dei contatti e isolamento tempestivo degli infetti, entro un paio di mesi saremo di nuovo chiusi.

L’unica risposta ragionevole è quella di non aprire gli impianti fino a che o non sarà superata l’emergenza sanitaria o le istituzioni decideranno di farsi carico di un servizio strategico per la sicurezza, la salute e il benessere della popolazione. Ma non sarà così, siamo troppo intimamente inadatti al ragionamento di medio-lungo periodo:”riapriremo tutto” a colpi di post motivazionali sui social e ci inabisseremo definitivamente, gioiosi come l’orchestrina del Titanic.

Ph. ©Uriel Soberaner @Unsplash

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