Il ministro nella palude

Come prevedibile la sicumera di Vincenzo Spadafora, che aveva annunciato la rapida approvazione in Consiglio dei ministri del suo testo di riforma dello sport italiano, si sta progressivamente sgretolando, con molti dei suoi punti chiave messi in discussione dalle varie forze politiche e dagli stakeholder, Cinquestelle compresi. Ecco quindi che “inavvertitamente” salta fuori una nuova versione della bozza, con modifiche sostanziali rispetto alla precedente.

Gli elementi più rilevanti della nuova bozza di testo unico:

  • CONI: viene confermata la sua titolarità sulla Scuola dello sport ma, soprattutto, torna il limite dei tre mandati: Giovanni Malagò potrà così puntare alla conferma per il quadriennio 2020-2024
  • Finanziamenti: allo sport italiano è destinato il 32 per cento delle entrate effettivamente incassate dal bilancio dello Stato, registrate nell’anno precedente, e comunque in misura non inferiore complessivamente a 410 milioni di euro annui, derivanti dal versamento delle imposte ai fini IRES, IVA, IRAP e IRPEF nei seguenti settori di attività: gestione di impianti sportivi, attività di club sportivi, palestre e altre attività sportive. 40 milioni sono gestiti direttamente dal CONI, i rimanenti da Sport e salute SPA che viene confermata nel suo ruolo di cassaforte dello sport italiano con l’obbligo di ridistribuire almeno 280 alle Federazioni sportive, alle Discipline associate, agli Enti di promozione e ai gruppi sportivi militari. Tutto bene quindi? No, perché poche righe dopo si prevede che “Con decreto dell’Autorità di Governo competente in materia di sport, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il CONI, possono essere rimodulati gli importi di cui all’articolo precedente, commi 2 e 3”: questo significa che il governo avrà la possibilità di disporre liberamente dei fondi destinati allo sport, e la tentazione di attingere dal borsellino di Sport e salute per pagare qualche mancia elettorale potrebbe diventare irresistibile
  • Una disposizione che influisce direttamente sul mondo del nuoto italiano è quella dell’art. 54 il quale prevede che “L’assunzione e il mantenimento della carica di Presidente nelle Federazioni sportive nazionali e nelle discipline sportive associate è incompatibile con le seguenti cariche di indirizzo politico delle amministrazioni statali: Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, Sottosegretario di Stato e Commissario Straordinario del Governo di cui all’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, parlamentare. L’assunzione e il mantenimento della carica di Presidente regionale nelle federazioni sportive nazionali e nelle discipline sportive associate è incompatibile con le seguenti cariche di indirizzo politico delle amministrazioni regionali e locali: Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali”. È vero che nelle stesse note al decreto è specificato che “è in corso una valutazione sulla formulazione”, ma se il testo dovesse rimanere invariato significherebbe costringere tra gli altri il presidente di Federnuoto Paolo Barelli a scegliere fra la guida della federazione più vincente d’Italia, con gli Europei di Roma 2022 da organizzare, e l’attività di parlamentare della Repubblica. Disposizione legittima e comprensibile ma che, come già segnalato da Roberto Bresci  nella nostra intervista del 30 luglio, richiederebbe una fase transitoria per non destabilizzare federazioni che della continuità hanno fatto il proprio punto di forza
  • Per le Federazioni sportive sono previste norme per favorire la partecipazione (diventa più semplice candidarsi alla presidenza) e l’inclusione di atleti e tecnici negli organismi direttivi. Rileviamo invece la grave mancanza di iniziative a favore del riequilibrio di genere, in un contesto nel quale le donne occupano meno del 20% dei ruoli dirigenziali sportivi (dato CONI). Anche il professionismo sportivo femminile rimane una mera dichiarazione di intenti che si esaurisce in mezza riga (“La qualificazione di una disciplina sportiva come professionistica opera senza distinzione di genere”)
  • Gli Enti di promozione sportiva diventano ufficialmente il veicolo dell’attività di base: essi “curano l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche multidisciplinari compresa quella didattica e formativa per tutte le fasce di età e categorie sociali”. Anche questa, per un movimento come quello natatorio che della strettissima continuità (anche in termini di formazione dei tecnici) fra attività didattica, avviamento allo sport e agonismo ha fatto la propria arma vincente, è una disposizione potenzialmente destabilizzante
  • Rimangono, curiosamente, la possibilità per le SSD di redistribuire ai soci una parte di eventuali utili di esercizio e di rivalutare il capitale sociale, una disposizione che dovrebbe attirare risorse nel mondo sportivo ma che suona piuttosto stridente con l’impostazione generale del sistema e che non pare comunque sufficiente ad accendere l’interesse di eventuali investitori (sui danni che gli imprenditori prestati allo sport dilettantistico hanno causato al sistema varrà la pena prima o poi dedicare un approfondimento)
  • Diventano più stringenti i vincoli per l’incompatibilità, con il divieto per gli amministratori delle associazioni e società sportive dilettantistiche di ricoprire qualsiasi carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche nell’ambito della medesima federazione sportiva. Prepariamoci quindi ad assistere all’elezione negli organi di rappresentanza di coniugi e parenti di ogni ordine e grado
  • Sono previste agevolazioni fiscali per chi investe fino a 200mila euro in sponsorizzazioni per associazioni e società sportive dilettantistiche
  • Con le disposizioni del Capo VII in materia di Centri sportivi scolastici il ministro paga la sua cambiale ai laureati in scienze motorie, senza peraltro stanziare reali risorse per la diffusione dello sport nella scuola
  • Scompare il vincolo sportivo e viene finalmente introdotta una norma basilare di civiltà che prevede “i minori cittadini di Paesi terzi, anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, possono essere  tesserati presso società o associazioni affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate o agli enti di promozione sportiva, anche paralimpici, senza alcun aggravio rispetto a quanto previsto per i cittadini italiani”
  • Grande attenzione è dedicata ai gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello stato, che possono attivare le relative sezioni paralimpiche
  • Ma ovviamente l’attenzione del mondo sportivo è concentrata sul Titolo I della Parte III della bozza, dedicata ai rapporti di lavoro. I primi due articoli confermano l’impostazione anticipata da Spadafora: è lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo. L’attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative, con oneri fiscali previdenziali e assistenziali interamente a carico di ASD e SSD. Sic et simpliciter. Scompare senza lasciare traccia l’intera disciplina regolamentata ai sensi dell’art. 37 della Legge 342/2000 sulla quale, nel bene e nel male, poggia l’intero sistema sportivo dilettantistico italiano e che, bisognerà prima o poi ricordarlo, ha trascinato fuori dal sommerso decine di migliaia di istruttori e allenatori. Disposizione pienamente condivisibile ma rispetto alla quale il testo non prevede alcun contrappeso per riportare in equilibrio i conti di ASD e SSD e che rischia quindi di trasformarsi in un tremendo boomerang occupazionale. Restano le sole opzioni residuali della prestazione occasionale e delle prestazioni sportive amatoriali volontarie, evidentemente inapplicabili al tema della gestione sostenibile di un impianto sportivo
  • Confermato anche l’altro provvedimento bandiera del ministro: l’abolizione senza se e senza ma del vincolo sportivo, lasciando almeno in questo caso la possibilità per le Federazioni di prevedere una disciplina transitoria. Anche su questo punto vi rimandiamo alle considerazioni di Roberto Bresci
  • Per gli amanti dei risvolti amministrativi segnaliamo alcune disposizioni interessanti del Titolo IV in tema di semplificazione: le federazioni sportive nazionali non costituiscono unità istituzionali ai fini dell’inserimento nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche effettuata annualmente dall’ISTAT, il che significa una più semplice gestione contabile; la soppressione del famigerato modello EAS (peraltro con parere sfavorevolissimo dell’Agenzia delle entrate); il trasferimento del Registro nazionale delle associazioni e società sportive presso il neonato Dipartimento per lo sport della Presidenza del consiglio dei ministri
  • Nel Titolo I della Parte IV (Sicurezza) relativa a costruzione, ristrutturazione e ripristino degli impianti sportivi viene definita una disciplina particolare del project financing di iniziativa privata con l’intento di rendere più appetibile questo genere di investimenti, ma anche in questo caso non si tratta di provvedimenti sostanziali, e non potrebbe essere diversamente essendo la disciplina rigidamente regolamentata dal Codice degli appalti pubblici (D.Lgs. 50/2016). Da valutare con attenzione la portata dell’art. 181 “Le associazioni e le società sportive senza fini di lucro possono presentare agli enti locali, sul cui territorio insiste l’impianto sportivo da rigenerare, riqualificare o ammodernare, un progetto preliminare accompagnato da un piano di fattibilità economico finanziaria per la rigenerazione, la riqualificazione e l’ammodernamento e per la successiva gestione con la previsione di un utilizzo teso a favorire l’aggregazione sociale e giovanile. Se gli enti locali riconoscono l’interesse pubblico del progetto affidano la gestione gratuita dell’impianto all’associazione o alla società sportiva per una durata proporzionalmente corrispondente al valore dell’intervento e comunque non inferiore a cinque anni” che sembrerebbe prefigurare la possibilità di bypassare le procedure di evidenza pubblica, circostanza sulla cui legittimità ci permettiamo di dubitare

In sostanza, e ricordando che finché il testo non sarà approvato in versione definitiva dal Consiglio dei ministri stiamo parlando del nulla, rimane l’impressione che Vincenzo Spadafora voglia consolidare quello che ha individuato come suo bacino elettorale, tecnici e atleti/genitori, portando a casa la “sua” riforma a costo di buttare via insieme all’acqua sporca un’intera nidiata di bambini.

Ricambio istituzionale, stabilizzazione dei lavoratori, liberazione degli atleti sono tutte istanze pienamente condivisibili ma che sbilanciano un sistema già quasi spezzato da sei mesi di pandemia in una sola direzione. Non saremo certo noi a difendere aprioristicamente dirigenti e gestori, ma ci sia consentito di rilevare che lo sport dilettantistico rappresenta una delle poche realtà funzionanti di questo paese, avendo assolto a funzioni di salute e benessere pubblico vicariando le istituzioni scolastiche, sanitarie, sociali con risultati altalenanti finché si vuole ma che hanno consentito agli italiani di rimanere uno dei popoli meno sedentari e conseguentemente meno bisognosi di spese mediche e farmaceutiche dell’Occidente industrializzato. Il tutto garantendo al contempo risultati agonistici internazionali che, perlomeno in ambito natatorio, definire strabilianti è riduttivo.

Vale la pena mettere a rischio tutto questo per una rendita di posizione politica a breve termine?

Ahinoi, probabilmente sì.

Ph. ©Pexels

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