Non ci facciamo da parte

Tempo fa, quando si prospettava l’idea di chiudere nuovamente le porte di cinema e teatri, dissi a chi commentava la questione: se i primi saranno di nuovo loro, senza dubbio i secondi saremo noi.
Perché è diventato ormai facile prevedere i colpi alla botte di questo governo, in cerca di vittime sacrificali e capri espiatori per mostrare che i compiti vengono assolti. A suon di decreti, pronti a spazzare via da un giorno all’altro ogni speranza, tecnici e politici funamboleggiano sulla fiducia della gente che avrebbe messo nelle loro mani il proprio futuro. Non è più tanto difficile intuire le decisioni del Comitato tecnico scientifico prese di concerto col governo in un contorto meccanismo di interventi salva/Covid.

Ormai, tutti quanti, si aspettano i soliti, scontati, errori. Genitori, figli, insegnanti, ad esempio, hanno già avuto modo, nelle ultime settimane, di provare le stesse sensazioni di smarrimento e sconforto vissute non molto tempo fa di fronte a una didattica a distanza che avrebbe dovuto avere piano A, piano B e come minimo anche piano C. I duri mesi e le esperienze passate a nulla sono valsi per arrivare preparati a questa seconda ondata chiamata a gran voce.

L’unica strada efficace e di buon senso che si stava percorrendo, ha subìto una brusca interruzione, ridicolizzando per l’ennesima volta il rapporto di convivenza tra governo e risorse investite: il tracciamento dei contagi, realizzabile solo attraverso una rete che seguiva i “positivi”, costruita seguendo una logica non tanto difficile da comprendere e che avrebbe disegnato la mappatura individuando più chiaramente i focolai, donando indicazioni concrete su come e dove intervenire e scongiurando, forse, un secondo lockdown, è stato un sentiero rimasto quasi subito abbandonato. Le Aziende sanitarie  non hanno retto il peso dei numeri.

Non mi soffermerò su argomenti come il “non intervento” per azzerare il debito enorme con le risorse in ambito sanitario e il mancato potenziamento del trasporto pubblico, in quanto tutti ben sappiamo dove stiano le falle, ma mi sembra doveroso aprire una parentesi su un altro paio di punti che forse, a questo governo, sono poco chiari.

Il 23 ottobre, di nuovo, viene bloccata l’intera filiera dello spettacolo e, subito dopo, l’intera categoria dello sport dilettantistico con la quali ormai va luttuosamente a braccetto, entrambe faticosamente impegnate nel tentativo di rialzarsi dopo il lockdown.

Ma la logica non appartiene all’orientamento comune della nostra politica.

Circa la sicurezza dei teatri, possiamo dire che secondo un monitoraggio degli eventi, a partire dalla riapertura, è stato registrato un solo caso positivo e, a seguito di ulteriori controlli, si è poi attestata la negatività di ogni spettatore entrato in contatto con lo stesso. Tutti, dai direttori, agli artisti, ad ogni addetto ai lavori, si sono impegnati duramente in questi mesi per il rispetto delle norme anti-covid: ingressi coibentati, distanza interpersonale garantita, duplicazione degli spettacoli, lezioni individuali e addirittura una rivisitazione delle tecniche di didattica. Tanto quanto palestre e piscine le quali, dopo i controlli dei NAS, sono state assolte nella piena osservanza delle direttive imposte dal governo per poter rimanere aperte: corsi ad accesso dimezzato per garantire spazi adeguati e allo stesso tempo aumento dell’offerta oraria dando modo all’utenza di non restare esclusa. Maggiori spese, stesse entrate… Anzi, tenendo conto del debito di restituzione dei mesi persi, introiti quasi zero.

Ma si tiene duro, nonostante le condizioni avverse la volontà di riuscire a non cadere è più forte di ogni altro aspetto. “Ce la faremo”, si sente. Poi, la notizia… Ancora. Una seconda volta chiude la cultura e chiude lo sport, tra sipari calati, piscine vuote, vani sforzi e paure che spaventano come una scure nell’ombra.

Dopo l’ultimo decreto del 24 ottobre, la stanchezza inizia a farsi sentire anche per chi è abituato a combattere. Quello che non arriva al Comitato tecnico scientifico è che i nostri ambiti, le persone che lavorano con noi e le associazioni coinvolte, non distribuiscono utili. Non ciò che forse viene inteso come un ritorno alle casse dello stato.

Peccato che questi invisibili organismi siano coloro che investono su ben altri valori: socialità, inclusione, formazione, educazione e benessere. E allora, perché là in alto non ci si chiede quali possono essere le effettive conseguenze dell’annullamento di un aspetto così trasversale ma essenziale per la vita di una comunità?

Il teatro è arte e, in quanto tale, rimane nutrimento per il pensiero dell’uomo. Lo sport è educazione fisica e mentale e ci offre la possibilità di condurre un’esistenza in salute. Non voglio credere ci sia un retropensiero a monte che intende azzerare il mondo della cultura e lasciare senza armi tutte quelle categorie di “persone comuni” che si affidano allo sport per il benessere quotidiano, piuttosto credo nell’inconsapevolezza di chi ci governa di stare togliendo alla popolazione, già disorientata e in balia del nulla, preziosi stimoli.

Eppure è proprio la cultura che incoraggia un pensiero trasformativo, ed è proprio il movimento che sostiene lo spirito di un corpo capace di reagire, caratteri indispensabili in una situazione di deprivazione come quella che stiamo vivendo.

Bambini che oggi partecipano a ore di scuola seduti tutto il tempo, con l’ora di mensa consumata sugli stessi banchi, senza potersi muovere, senza ricreazione e senza cortile. Immaginiamo se dovessimo tornare nuovamente a chiudere le scuole… In inverno… Bambini e ragazzi i cui spazi fisici e mentali si restringono sempre di più in un’era così buia.

In questo modo non facciamo che togliere loro la gioia della scoperta, la voglia di conoscere e conoscersi, li priviamo del sorriso e di quelle esperienze fondamentali per una crescita sana e in armonia. Porre barriere al dinamismo, alla possibilità di movimento significa recare danno al benessere sociale, revocare il divertimento per centinaia di migliaia di bambini e azzerare lo svago per milioni di persone inghiottite dallo stress di una vita frenetica e accelerata.

Significa impedire la divulgazione e la promozione del concetto stesso di salute individuale e sociale. Ma significa anche mettere in ginocchio le migliaia e migliaia di società e compagnie che avevano appena rialzato la testa, mentre intorno a questi mondi gravitano tanti altri piccoli satelliti.

Nessuno elude la fondamentale importanza di fermare il contagio in un momento in cui la situazione rischia di sfuggirci di mano, ma le decisioni riguardo alle chiusure non possono non tenere conto del diverso valore di ciò che si va a fermare. La speranza è che una rotta comune diventi percorribile nella fiducia di agire per il meglio, senza perdersi in labirinti disegnati dalle follie di un governo che, perdendo la strada, prende sentieri senza via d’uscita.

C’è bisogno di più sport e più cultura per abbattere le barriere, c’è bisogno di più sport e più cultura per diminuire le disuguaglianze, c’è bisogno di più sport e più cultura per favorire l’inclusione, gettando le basi di una società che si possa muovere intorno a valori come rispetto e condivisione.

Occorre agire sul presente per costruire un futuro migliore, se leviamo gli strumenti a chi ci può dare una mano, alzando gli occhi al cielo, rimane il grigiore delle nuvole senza un raggio di sole.

Questa gente ha già provato ad uccidermi: ma sono ancora qui e non ho intenzione di farmi da parte (Bob Mould)

Tutti i Santi…
O forse domani…
#nonsiamoancoradentro

Helga Franzetti, attualmente in forza nelle fila del Nuoto Club Brebbia come coordinatrice e responsabile del settore Propaganda.
Lavora a bordo vasca da venticinque anni, ricoprendo qualsiasi ruolo.
Ex atleta, docente regionale SIT-FIN, mamma, biker, profondamente amante della musica rock e blues, ha assaggiato l’acqua clorata all’età di cinque anni sviluppando una dipendenza che l’ha portata a fare della sua passione il suo lavoro,  in buona compagnia di parecchi folli che gironzolano per le nostre piscine.

Ph. ©Pixabay

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