25 novembre

Nel bailamme generato dall’odierna conferenza stampa del ministro Vincenzo Spadafora è passata relativamente sotto silenzio quella che a mio avviso è la dichiarazione culturalmente più interessante: l’affermazione del principio della piena parità di genere all’interno degli enti sportivi.

Causalmente ma sorprendentemente, il provvedimento vede la luce il 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne. I raccapriccianti numeri del fenomeno vi sono già stati resi noti da tutti i media che da domani torneranno ad ignorare il problema. Qui vorremmo dare un contributo alla discussione dal nostro punto di vista sportivo acquatico.

Se non ci saranno variazioni rispetto alle bozze già circolate il secondo decreto, quello più corposo, reciterà:

Art. 3 (Obiettivi):

1. Il presente decreto intende perseguire i seguenti obiettivi:

(…)

d) promuovere la pari opportunità delle donne nelle prestazioni di lavoro sportivo, tanto nel settore professionistico, quanto in quello dilettantistico;

Art. 38 (Fondo per passaggio al professionismo e l’estensione delle tutele sul lavoro negli sport femminili)

1. (…) è istituito il “Fondo per il professionismo negli sport femminili”

2. (…) le federazioni sportive che intendono accedere al Fondo di cui al comma 1 devono deliberare il passaggio al professionismo sportivo di campionati femminili (…) entro il 31 dicembre 2022

Poco? Pochissimo, quasi niente. Ma è qualcosa. Con chi pensa che le priorità siano “ben altre” lasciamo parlare i numeri:

Su 4,7 milioni di tesseratə le donne sono(1):

  • il 28,7% deə atletə
  • il 19,8% deə tecnicə
  • il 18,2% deə ufficiali di gara
  • il 15,4% deə dirigenti societarə
  • il 12,4% deə dirigenti federali

Gli sport natatori sono un esempio relativamente virtuoso: le atlete sono il 45% del totale. Non abbiamo a disposizione dati precisi su tecnicə dirigenti e ufficiali gara.

In un paese dove le donne sono il 51,3% della popolazione totale(2) sono numeri allarmanti. Allarmanti perché una presenza così rarefatta non è in grado di contrastare il permanere e l’intensificarsi di una cultura sessista, che non necessariamente implica ma che è certamente il brodo di coltura ottimale della violenza di genere. Se pensate che lo sport sia una zona franca rispetto a questi temi cercate su Google “sport+abusi”, poi ne riparliamo.

Quello dello sport è un ambiente molto meno inclusivo di quanto si voglia far credere. La ricerca della performance a tutti i costi si concilia male con il rispetto della diversità di genere, di orientamento sessuale, di religione o di etnia. Iniziare a riequilibrare i rapporti fra i sessi è un primo importante passo per rendere più vivibili palestre, piscine e campi sportivi.

Dimenticavo: la cultura inizia dalla parola, se non avete mai incontrato il simbolo “ə” vi rimando a questo approfondimento di Vera Gheno, linguista sociologa e giornalista che quotidianamente si impegna per l’adozione di un linguaggio inclusivo.

Se pensate che queste siano questioni di poco conto, magari prendete in considerazione l’ipotesi di essere anche voi parte del problema.

(1)Libro bianco CONI 2017
(2)ISTAT 2018

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