Rari Nantes: Giuseppe Cantù

Padri

I padri fondatori della nostra federazione, quelli che si autochiamarono  “Il Collegio dei Pionieri del nuoto”, furono essenzialmente tre. Il primo era Achille Santoni, il movimentista trentino di cui abbiamo raccontato in un post precedente. Il secondo fu Giuseppe Cantù, anche lui scultore, ma di Milano. Cantù era quello che, sull’idea di Santoni, aveva fatto nascere la Rari Nantes Milano. Il terzo fu il capitano Gianni Vaudano, torinese, che rappresentava la Rari Nantes Torino, appena sorta.

Fondazione

I tre si incontrarono a Como nel 1899, per stabilire come organizzare il campionato delle Rari Nantes che si sarebbe svolto in quella città. L’incontro avvenne probabilmente il 14 Giugno, nella sala bianca del Casinò Sociale. Fu lì che decisero di far nascere una confederazione tra le loro società, la Federazione Italiana Nuoto (ma che prima fu Firn).

Giuseppe Cantù

Giuseppe Cantù non era solo il fondatore della terza Rari Nantes, quella Milanese,  era anche il suo principale animatore e un atleta molto attivo. La sua Rari aveva di poco succeduto alla fondazione di quella genovese, la seconda nata. Entrambe erano del 1895. Cantù, invece, era nato nel 1864. All’epoca della fondazione aveva quindi 31 anni, che nel XIX secolo voleva dire essere una persona decisamente matura. Anche lui, come l’amico Santoni, era un entusiasta dei bagni. Meno tassonomico, ma più coriaceo. Di quelli sempre pronti a esagerare. I suoi bagni infantili li aveva fatti nel Ticino, e non nell’Adige, perché era nato a Casorate Primo, un borgo agricolo della provincia di Pavia. Non lontano dal paese passava, infatti, il grande fiume di confine tra il Piemonte e il Lombardo Veneto.

Repubblicano e garibaldino.

Anche Cantù, come Santoni, era un uomo del risorgimento. Rispetto all’amico, però, era un po’ più a sinistra. Era un artista bohemien, di quelli che si vedono sempre conciati in maniera un po’ strana, cappellone e tabarro, ed era un repubblicano, di fede garibaldina. All’epoca, essere repubblicano e garibaldino, voleva dire essere praticamente un sovversivo. A dire il vero il nostro Giuseppe, era un uomo decisamente tranquillo, anche se nel 1897, con Ricciotti Garibaldi, il figlio di Giuseppe e Anita, e insieme ad altri 2000 volontari, aveva partecipato alla sfortunata  battaglia di Domokos, in Grecia. Lo scontro fu un episodio della cosiddetta guerra Greco Turca, quando l’armata greca guidata dal Principe Costantino, quello che l’anno prima aveva presidiato ai Giochi Olimpici, era stata assalita dagli ottomani del generale Edhem Pascià. I garibaldini erano giunti per dargli manforte. Ma le cose non erano andate per niente bene.

Scultore

Cantù, come artista, era membro della scapigliatura, il movimento che si proponeva originalità ed eccentricità e che cercava nell’adesione al romanticismo straniero, una propria affermazione ribellista. Da vero progressista, nelle sue opere, si espresse principalmente su temi politici e sociali. Famosa fu una sua “testa di popolana” esposta a Brera nel 1886. Un’altra sua scultura “La questione sociale”, un operaio che arringa i compagni, fu lodata nientemeno che da Emile Zola, il famoso scrittore dei “Misteri di Marsiglia” e di Therese Raquin, quello che pronunciò il “Je accuse” nel l’affare Dreyfus. Come molti colleghi della sua epoca fece soprattutto busti. A Roncole di Busseto si trova quello eretto in onore di Giuseppe Verdi, il suo pezzo forte. Lo realizzò nel 1913.

Medaglista

Non mancò di dedicarsi anche a piccole opere e fu un abile creatore di medaglie. Data la sua passione naturalmente le più belle furono quelle dedicate allo sport. La sua medaglia più nota la fece per Giovanni Raicevich, il campione del mondo di lotta del 1909. Un’altra che fece colpo fu quella  per il “cimento invernale nel Naviglio” del 1898. Era una medaglia un po’ particolare. Aveva contorni irregolari. Da una parte c’era una donna, che stendeva la corona dei vincitori ai nuotatori. Intorno stava l’epigrafe “in balneis salus”, il motto dei rari nantes. Sul rovescio era raffigurato un tritone, appoggiato ad un mostro marino, che svolgeva un drappo sul quale era inciso il nome del partecipante.

Nuotatore

Come nuotatore era un tipo da traversate e bagni estremi. Esperto di cimenti invernali, sul Lago Maggiore, era conosciutissimo. Era facile vederlo lì, per qualche raduno, per un bagno o per organizzare una gara di nuoto. Spesso faceva la traversata per conto proprio. Una volta la fece anche completamente vestito, partendo da Arona e arrivando ad Angera, per recarsi a pranzo da amici.

Dirigente sportivo

Lo sport fu la sua grande passione. Fu un promotore e un fondatore di società agonistiche d’ogni tipo. Era di quelli che sentiva davvero il valore sociale ed educativo delle discipline atletiche, da vero amateur dell’ 800. Per diffondere le sue idee e far conoscere lo sport tra i giovani e gli operai, si diede parecchio da fare. Se era necessario era anche capace di mettere le mani in tasca, se bisognava sostenere qualcuno che riteneva meritevole o che non poteva permetterselo. Amava anche il canottaggio. Non solo col remo in mano vinse delle gare, ma fu anche fondatore della gloriosa Società Canottieri Milano. Nel nuoto fu un po’ tutto, praticante, “campione, apostolo” animatore e dirigente. Fu uno dei padri fondatori della Federazione Italiana, ma fu anche il suo presidente dal 1903 al 1912, quando la sede fu spostata a Milano.

epilogo tragico

La cosa strana fu che morì tragicamente proprio durante una nuotata. Accadde, tra l’altro, nel suo amato Ticino.  Era il 3 settembre del 1916. Quel giorno si doveva svolgere una gara e Cantù, che era tra gli organizzatori, stava attraversando il fiume, al l’altezza del ponte di Turbigo. Faceva sempre così, perché voleva verificare il percorso di persona. Probabilmente fu un malore a prenderlo. Fatto è che scomparve improvvisamente tra le acque. Lo ritrovarono cadavere, solo dopo alcuni giorni.

Ora riposa nella tomba di famiglia, nel paesino di Azzio, il posto dove spesso andava a villeggiare. E’ accanto ai familiari e vicino ad un medaglione da lui stesso realizzato.

Molti diranno che la sua sorte è stata sfortunata. Altri, che è stata una vera beffa. Ma io, ricordando il tipo e la sua filosofia, non riesco a non pensare che abbia lasciato la vita con un colpo da maestro, da autentico scapigliato, abbracciato a quell’acqua, come avrebbe fatto Zivago con la sua amata Lárissa.

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