Vittime e carnefici

La notizia che una bambina di dieci anni ha perso la vita per aver accettato una sfida su un tristemente noto social network, molto seguito dai più giovani, addolora ed indigna nello stesso tempo.

Siamo tutti increduli, attoniti di fronte ad un evento tanto tragico quanto assurdo.

Quanto dolore, quanta sofferenza, quanta tristezza ci lascia dentro!

Piattaforme virtuali, videogame, social network hanno ormai invaso le nostre vite.
Abbiamo aperto loro le porte delle nostre case con entusiasmo ed ingenuità.
Pensavamo di averli solo invitati a cena, ma ormai abitano stabilmente con noi
E sono anche pieni di pretese!

Inizialmente li credevamo amici. Ci hanno permesso di ricongiungerci con i vecchi compagni di scuola, ci hanno fatto giocare e divertire.
Ci hanno portato dall’altra parte del mondo in un baleno, permettendoci di vedere e salutare parenti dimenticati ed amici sconosciuti.

Durante la pandemia poi ci hanno offerto il meglio: smartworking e DAD ovvero andare al lavoro e a scuola senza uscire di casa, videoconferenze, call, e riunioni a tutte le ore e in pigiama.

Abbiamo apprezzato come non mai chat e messaggini.
Abbiamo brindato al nuovo anno facendo cin cin attraverso lo schermo, inebriati di romanticismo.

Ma mentre flirtavamo con i nostri ospiti, loro ci hanno traditi tendendoci tranelli ed insidie.
Si sono appropriati dei nostri gioielli di famiglia: tempo, relazioni sociali, autostima e libertà.
Mentre noi pensavamo che fossero ancora lì, custoditi nei nostri cassetti, al sicuro.

Gradualmente abbiamo perso il senso del tempo. Nel corso della navigazione spesso perdiamo il senso dell’orientamento e la meta. La velocità poi annulla il tempo. Ogni cosa è lì a portata di mano, prima di subito. E se dobbiamo aspettare la frustrazione diventa rabbia e prepotenza.
Ed è così che si perde il bello dell’attesa, il piacere del desiderio.

La relazionalità virtuale ci illude di essere sempre in compagnia mentre alimenta la solitudine. L’aumento dei followers ci illude di aver più amici, mentre da quelli veri dobbiamo distanziarci intossicando i rapporti più cari di perversa ambivalenza: nonni e nipoti ne sono un esempio.

Il contatto virtuale erode inesorabilmente quello emozionale.
Viene invertito il rapporto tra comunicazione verbale e non verbale.
Nella realtà è maggiore il linguaggio del corpo, nel mondo virtuale invece è annullato. E questo rende la comunicazione distorta, sempre meno comprensibile e più confusa.
Ma pericolosamente ingannevole.

E poi c’è la nostra autostima che soffre il confronto con gli altri che virtualmente appaiono tutti più belli, più attraenti, più sicuri, più ricchi, più fortunati insomma così onnipotenti e predatori.
E noi lì, con la nostra umanità fatta di tutte quelle cose però con il segno meno davanti, un meno che si posiziona inevitabilmente anche davanti alla nostra cosa più preziosa: l’autostima.

L’autostima soffre e nella disperata riconquista di visibilità ed apprezzamento accetta una bella sfida, anzi una challenge. Spesso talmente assurda da riuscire a nascondere il pericolo mortale.

Ed è così che la trappola infame del farsi ammirare, guardare, apprezzare scatta e cattura vittime ingenuamente inconsapevoli, che senza sospettare nulla si ritrovano sole ed indifese tra gli artigli malefici del carnefice mascherato da gradito ospite.

È arrivato il momento di riconquistare la nostra libertà, i nostri spazi, il nostro tempo.
Di ricominciare a decidere.

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