Gianfranco Saini: “200 stile libero: ecco perché non sono d’accordo con Thorpe”

“Tutto il mondo nuota male i 200 stile libero”: una sentenza che in bocca ad altri suonerebbe arrogante, ma che provenendo nientemeno che da Ian Thorpe merita di essere considerata con attenzione.

Secondo il cinque volte campione olimpico l’unico modo per vincere i 200 stile libero è quello di affrontare velocemente i primi 100 metri ed “essere disposti ad affrontare il dolore che si presenterà negli ultimi 50″. Un’affermazione che ha fatto sobbalzare sulla sedia Gianfranco Saini, Direttore sportivo delle squadre nazionali che proprio pochi giorni fa, nel corso del Convegno nazionale per allenatori, aveva raccomandato un approccio diametralmente opposto. Abbiamo quindi ritenuto opportuno contattarlo per un approfondimento.

La prima cosa da dire è che se volessimo trovare un esempio lampante che smentisce le affermazioni di Ian Thorpe il miglior candidato sarebbe… Ian Thorpe! Premesso che tutto il mondo del nuoto oggi segue una direzione diversa ed è singolare pensare che tutti gli atleti e i loro allenatori sbaglino, la prova più evidente che smentisce l’australiano è proprio la sua condotta di gara nella finale delle Olimpiadi di Sidney.

Thorpe e i 200 hanno vissuto una storia importante, che raggiunge l’apice nel biennio 2000-2001 quando l’australiano raggiunge il suo apice prestativo in tutte le specialità: 200, 400 e 800 stile libero. A Sidney si presenta come primatista del mondo, stabilendo in batteria il record olimpico. Nelle semifinali l’olandese Pieter Van den Hoogenband in 1.45.35 migliora il primato del mondo dello stesso Thorpe, che risponde con il record australiano in 1.45.37 e una distribuzione ottimale: nuota il primo 100 in 52.03, a oltre 3” dal proprio personal best nei 100, e torna in 53.34, con uno scarto inferiore a 1”30: uno dei più bassi mai registrati nella storia del nuoto e un esempio perfetto di come si deve affrontare questa gara.

Ad impressionare è il finale: Thorpe chiude palesemente senza forzare. Ricordo che nel ritorno al Villaggio olimpico incontrammo viaggiammo in compagnia di coach Don Talbot che ci spiegò come i parametri fisiologici di Ian a fine gare indicassero che l’atleta aveva ancora enormi margini di miglioramento e come l’intera squadra australiana nutrisse delle aspettative straordinarie per la finale, nella quale si sarebbero scontrati i freschi primatisti del mondo dei 100 e 200, l’olandese Pieter van den Hoogenband, e quello dei 400, appunto Thorpe. Van den Hoogenband si rende conto che per avere la meglio deve convincere l’australiano a seguirlo: purtroppo per sé Thorpe abbocca, risolvendo la finale a favore dell’avversario gareggiando proprio nel modo che secondo le sue dichiarazioni di ieri sarebbe quello giusto. Segue passo passo van den Hoogenband: 24.48 contro 24.44 ai 50, 50.90 contro 50.85 ai 100 a poco più di 2” dal proprio PB, appaia l’olandese ai 150 (1.18.21) e proprio quando tutto il pubblico è certo che lo specialista dei 400 chiuderà in crescendo aggiudicandosi la prova… Non ne ha più. Chiude in 27.62, un tempo con il quale normalmente conclude la distanza doppia, mentre van den Hoogenband gli infligge quasi mezzo secondo di distacco in 1.45.35 contro 1.45.83 pareggiando il  proprio WR della semifinale.

Sei mesi dopo a Hobart, ai trials australiani per i Mondiali di Fukuoka 2001, Thorpe si riprende il primato del mondo. Come? Con la gara “giusta”, non quella che propone oggi: nuota in 1.44. 69 passando ai 100 in 51.90, esattamente 1” più lento rispetto alla finale di Sidney, e tornando in 52.79, con uno scarto di 0.89 fra le due metà. In Giappone si esibisce in un’altra gara perfetta: quando raccomando ad atleti e allenatori di “fare la cosa giusta” mi riferisco esattamente alla finale di Fukuoka. Thorpe passa ai 100 in 51.45 (24.81) e torna in 52.61, con l’ultimo 50 nuotato in 25.80 cioè sotto la media della gara.

Lo stesso Van den Hoogenband per realizzare il proprio PB con 1.44.89 (record europeo) a Berlino nel 2002 torna al 50.90 di Sidney. Thorpe ha sempre nuotato i “200 perfetti”, tranne quando si è allontanato da questo schema ottenendo risultati al di sotto del suo potenziale. Schema infatti replicato dagli atleti che gli sono succeduti nell’albo dei primatisti della specialità: nel 2007 Michael Phelps è sceso per primo sotto 1.44 (1.43.86) con una gara della stessa perfezione tattica conclusa in 26.10, esattamente al passo di gara.

Stesso approccio per Paul Biedermann, 1.42.00 con passaggi di 50.12 e 51.88 con l’ultima vasca in 25.70 (più veloce della seconda e della terza).

Nel 2017 Federica Pellegrini si è ripresa lo scettro mondiale sconfiggendo Katie Ledecky con un passaggio in 56.30, rispettando un differenziale di circa 3” rispetto al PB nei 100, tornando con un differenziale di 2” e un ultimo 50 in 28.82 contro una media gara di 28.70, rimontando sia una quattrocentista come Ledecky sia una velocista come Emma McKeon. 

Questa interpretazione tattica, cioè l’attenzione alla forbice fra il proprio PB e il passaggio a metà gara (da contenere in circa 3”) e quella fra primo e secondo 100 (1”25-2”25) uniti a un ultimo quarto di gara a velocità migliore o sovrapponibile al passo di gara,  arriva da lontano, dal primato mondiale di Giorgio Lamberti nel 1989: un tempo straordinario, che resistette dieci anni e fu migliorato solo con l’avvento dei costumi integrali. Il 15 agosto di trentadue anni fa Lamberti interpretò straordinariamente le indicazioni e le accurate esercitazioni in allenamento di Alberto Castagnetti passando in 52.42 (25.64) rispettando il differenziale di 3” dal suo PB nei 100 e tornando in 54.27 (26.90, quarta vasca più veloce della seconda e della terza). Un altro esempio di gara perfetta.

Questo approccio vale anche per gli altri stili: nei 200 rana: Anton Cupkov nella rana ha uno scarto di 1”68 fra primo e secondo 100: 1.02.22 (sempre rispettando il differenziale di 3” rispetto al PB nei 100) e 1.03.90 per chiudere in 2.06.12. Anche qui l’ultima vasca (31.89) nuotata più velocemente della seconda e della terza.

Ogni tanto gli atleti abbandonano la strada giusta anche dopo averla già percorsa: clamoroso in questo senso l’esempio della ranista statunitense Rebecca Soni, che nel 2008 a Pechino vince la finale olimpica dei 200 rana rimontando l’australiana Leisel Jones dopo essere passata in 1.07.46, stabilendo il nuovo primato mondiale con 2.20.22. L’anno successivo ai Mondiali di Roma nuota per tre volte i 100 sotto 1.05, stabilendo il primato mondiale con 1.04.84. Nella finale dei 200 si permette quindi di passare in 1.05.73, ma paga lo sforzo e nuota l’ultima vasca in 39.99 rimanendo addirittura fuori dal podio con 2.22.15.

Tornando allo stile libero, un interprete eccellente di questa tattica è Sun Yang vincitore delle ultime tre grandi manifestazioni internazionali (Rio 2016, Budapest 2017, Gwangju 2019) che nuota regolarmente un differenziale di 1.50 fra primo e secondo 100, accettando serenamente di passare la metà gara in quarta/quinta posizione. Così fa Danas Rapsys, così Gabriele Detti, così… Fan tutti, perlomeno tutti quelli che ottengono risultati importanti.

Questa è la tecnica corretta, il resto è improvvisazione, e mi preoccupa vedere che molti giovani hanno sposato questo approccio del “o la va o la spacca” che è pericolosissimo. Avvicinandosi alla zona di rischio, cioè a un differenziale di 2” o meno rispetto al PB nei 100, si creano i presupposti fisici biofisiologici e psicologici per un crollo nel finale, con un’inutile sofferenza e lasciando parte del proprio potenziale inespresso.

Ph. ©C.Zamagni/Deepbluemedia

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