Andrea Felici: “La campagna vaccinale come un 200 stile libero. Noi medici sportivi pronti a fare la nostra parte”

Fra le varie iniziative per rilanciare e potenziare la campagna vaccinale anti Covid-19 c’è il coinvolgimento dei medici sportivi. Abbiamo chiesto un parere su questa scelta ad Andrea Felici, Medico federale specializzato in Medicina dello sport, Emergenza sanitaria territoriale e Medicina legale; Docente presso l’Università degli Studi di Siena, Direttore sanitario del Centro di formazione BLSD&SPORT, attualmente in supporto per il periodo emergenziale al Dipartimento di prevenzione della Azienda USL Toscana Sud Est

Come valuti l’ipotesi di utilizzare i medici sportivi per la campagna vaccinale? È un’idea sensata e realizzabile?

È ben più di un’ipotesi, tant’è che la Federazione medico sportiva italiana (FMSI) sta reclutando volontari da mettere a disposizione della campagna vaccinale che, è bene ricordarlo, è un’operazione colossale, al momento rallentata dalla mancanza di dosi. Si tratta di un problema temporaneo che a breve sarà superato. Pensiamo a quando esce un nuovo modello di smartphone: inizialmente vediamo le file fuori dai negozi perché la domanda supera l’offerta, con il passare del tempo le aziende si adeguano e nel giro di poche settimane il prodotto è disponibile ovunque. Con i vaccini sarà lo stesso. Il vero problema non sarà la disponibilità di prodotto, ma l’esitanza vaccinale indotta da informazioni incomplete o imprecise. In queste ore si parla molto di eventi avversi successivi alla somministrazione del vaccino AstraZeneca, per i quali però è tutto da dimostrare il nesso causale. Mi spiego meglio: se dopo essermi vaccinato vengo investito da un’automobile, è evidente che i danni che subisco non dipendono dal vaccino ma dall’investimento. La situazione di AstraZeneca è esattamente questa: eventi avversi relativamente ai quali al momento non ci sono prove di una correlazione con la somministrazione del vaccino. Prove la cui ricerca spetta all’organismo deputato, che nel nostro paese è l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), che opera in stretta correlazione con l’omologa europea (EMA, fino a poche settimane fa presieduta dall’italiano Guido Rasi, NdR) e che è già al lavoro su questi casi che, ricordiamo, sono comunque poche unità rispetto a centinaia di migliaia di dosi già inoculate. Ricordiamo anche che tutti i vaccini attualmente autorizzati da questi enti sono stati sottoposti a un processo di certificazione e controllo estremamente lungo accurato e complesso; il non completamento di questo processo è il motivo per cui altri prodotti, uno fra tutti il russo Sputnik, non sono ancora disponibili nel nostro paese.

Sui media fioccano le ipotesi più fantasiose: si propone di somministrare i vaccini dal medico di base, a scuola, sul luogo di lavoro, nei centri commerciali o nei centri sportivi. Da un punto di vista logistico, quali sono le necessità imprescindibili per mettere in piedi un centro vaccinale?

Teniamo innanzitutto presente che si tratta di vaccini multidose: da un flacone, cioè, si ricavano da quattro a sei dosi a seconda del prodotto utilizzato. Serve quindi, secondo il modello predisposto dall’Istituto superiore di sanità (ISS), del personale che si occupi di sporzionare il vaccino e preparare le singole dosi; del personale che lo inietti; un medico responsabile dell’intera filiera che valuti eventuali inidoneità alla vaccinazione e acquisisca il consenso, un atto medico legale che non può essere delegato. Da questo punto di vista mi permetto di osservare che il medico sportivo è il candidato ideale, in quanto culturalmente predisposto all’anamnesi, che è un elemento essenziale nel rilascio dell’idoneità alla pratica agonistica. L’atto materiale dell’inserimento dell’ago nel deltoide del paziente può essere eseguito dal medico ma anche da un infermiere o da un assistente sanitario. È necessario inoltre del personale amministrativo che registri l’avvenuta vaccinazione nei sistemi informatici dell’Azienda sanitaria di riferimento ma, soprattutto, un carrello dell’emergenza e del personale preparato per gestire eventuali situazioni critiche, in particolare uno shock anafilattico. Preciso che reazioni anafilattiche sono possibili a seguito dell’assunzione di qualsiasi farmaco, ma ovviamente in una struttura dove vengono somministrate decine di migliaia di dosi questa precauzione è imprescindibile. Gli spazi devono essere adeguati per garantire un adeguato distanziamento e gestire i quindici minuti di attesa post inoculazione, sempre mantenendo il distanziamento.

Cosa succede una volta ricevuta la dose di vaccino?

È importante ricordare che la copertura immunitaria non è istantanea ma si verifica dopo qualche tempo. Ad esempio, il vaccino Pfizer garantisce una copertura del 60% circa dopo quindici giorni -percentuali da prendere con beneficio di inventario in quanto in continuo aggiornamento, e al 90% dopo un mese (cioè una settimana dopo la seconda dose). Con il vaccino Moderna i tempi sono un po’ più lunghi.

Al di là di news più o meno fake, quali sono le reali controindicazioni che possono riscontrarsi rispetto a questi vaccini?

L’unica reale controindicazione è: precedenti shock anafilattici. Va comunque detto che per alcuni soggetti il rapporto rischi benefici può indurre a procedere comunque alla vaccinazione in un ambiente ulteriormente protetto, ad esempio in un Pronto soccorso. Ricordiamo che ad oggi il vaccino è l’unica arma contro il Covid-19.

Pensi che arriveremo all’imposizione dell’obbligo vaccinale?

Mi sembra un’ipotesi di dubbia costituzionalità, dato che secondo il nostro ordinamento nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario contro la propria volontà, salvo casi eccezionali. Immagino che si arriverà piuttosto a un obbligo indiretto, inibendo l’accesso a determinate attività a soggetti non vaccinati. Ad esempio, la vaccinazione antitetanica è indispensabile per l’ottenimento dell’idoneità sportiva agonistica, di conseguenza chiunque voglia praticare sport ad alto livello è obbligato a sottoporsi a tale profilassi. Al di là di questi casi specifici sono sinceramente preoccupato dell’efficacia con la quale riusciremo a convincere la popolazione a vaccinarsi, specialmente nel periodo estivo. L’intervallo maggio-settembre sarà il momento chiave: avremo ampia disponibilità di vaccini ma in un momento in cui per ragioni fisiologiche la curva dei contagi scenderà bruscamente, come è avvenuto lo scorso anno. Dobbiamo ricordare che il virus non va in ferie e che quello sarà il momento per spingere al massimo sulla prevenzione. L’estate sarà un po’ come gli ultimi 70 metri di un 200 stile libero: la fase in cui si decide la gara in base a come sono state gestite le energie e la preparazione. L’obiettivo è arrivare entro l’autunno, o comunque il prima possibile, a quell’85-90% di popolazione vaccinata che consentirebbe al nostro paese di tornare a respirare. Con tutti gli inconvenienti legati all’inerzia di una campagna sanitaria di questo tipo, lo Stato sta mettendo in campo tutte le risorse possibili. Starà ai cittadini dimostrarsi responsabili e collaborativi.

Cosa pensi del suggerimento/proposta del neo rieletto presidente del Comitato olimpico internazionale (CIO) Thomas Bach di vaccinare tutti gli atleti partecipanti ai Giochi olimpici, anche in considerazione del fatto che è sempre crescente il numero di nazioni che sta agendo in questa direzione e che il presidente di Federnuoto Paolo Barelli si è espresso in tal senso?

A mio avviso è un’ottima idea. Una parte dell’opinione pubblica è contraria perché la vede come uno spreco di risorse a danno della popolazione, ma in realtà parliamo di quantitativi di vaccino irrisori -per la nostra Federazione italiana nuoto, al netto degli atleti dei Gruppi sportivi militari e quindi già immunizzati si tratterebbe di poche centinaia di dosi, che potrebbero essere somministrate in autonomia dal nostro personale all’interno dei nostri Centri federali. Il mondo dello sport, da questo punto di vista, è perfettamente autosufficiente.

Ph. ©Deepbluemedia

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