Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo: esperienze

Da ormai quindici anni il 2 aprile si celebra la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, sulla base della risoluzione 62/139 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, approvata in Consiglio il 1° novembre 2007 e adottata il 18 dicembre 2007.

Fra tanti sedicenti “esperti” che, ahinoi, negli ultimi anni sono proliferati anche nelle piscine di tutta Italia (chi non è mai stato avvicinato da qualche associazione che promette di “guarire dall’autismo” attraverso “metodi” e “terapie” di nulla evidenza scientifica?), abbiamo coinvolto le nostre firme più competenti in materia per qualche riflessione sul tema.

Paolo Danese – Docente Università di Pavia, insegnante della scuola primaria specializzato nel sostegno

Chi pensa che sia vero che al peggio non c’è mai limite, ne ha avuto una prova con le varie misure restrittive imposte dai vari governi a causa della pandemia da Covid 19, rivolte alla popolazione italiana in generale sia, nello specifico, per le famiglie con figli e figlie con bisogni particolari. Se, infatti, per genitori che hanno figli senza esigenze specifiche (se non quelle dettate dall’età, come un adolescente che non può incontrare coetanei o bambini che non possono manifestare la propria fisicità andando a giocare al parco) le limitazioni inserite nei vari DPCM hanno significato una difficoltosa riorganizzazione di varie abitudini quotidiane, per quello che riguarda i nuclei familiari con congiunti con Bisogni educativi speciali queste normative hanno amplificato molto il disagio.
Un esempio concreto può essere rappresentato dalle famiglie che al loro interno hanno parenti (non solo figli, ma anche sorelle, fratelli…) con Disturbi dello spettro autistico (ASD).
Dopo mesi di restrizioni, alcune note positive di apertura ci sono state, almeno all’apparenza: ad esempio, è stata data la possibilità anche a bambini e ragazzi con ASD fino alla terza media di frequentare la scuola al mattino. Allo stesso modo, molte persone hanno potuto comunque proseguire le proprie terapie nei centri specializzati. Piuttosto che niente è meglio piuttosto, si direbbe: in effetti, per le famiglie, il tempo passato dai loro parenti a scuola o a terapia, ambienti conosciuti e controllati, ha rappresentato un “momento oasi”.
Queste “concessioni”, però, non tengono conto di chi non ha potuto andare a scuola e del fatto che una persona con ASD fonda la sua quotidianità su una routine, fatta certamente di giornate tipo in ambienti ad alta strutturazione, scandite allo scopo di ridurre al massimo l’imprevedibilità, ma anche e soprattutto, in queste giornate tipo, devono esserci necessariamente le persone che consentono di relazionare con loro. Un semplice posto dove stare in sicurezza non basta, le figure di riferimento sono importantissime tanto quanto un luogo conosciuto, le persone con ASD sono molto sensibili a questo elemento che purtroppo da quando siamo in emergenza Covid manca. Soprattutto la mancanza pesa in ciò che è extrascolastico, fra cui il nostro mondo, la piscina.
La chiusura dei nostri impianti è avvenuta in modo repentino, improvviso e imprevedibile, senza che istruttori e famiglie abbiano potuto preparare bambini e ragazzi in anticipo. In questo modo, allo stesso modo dei propri insegnanti e compagni di classe, l’impossibilità di rivedere luoghi e figure di riferimento, di uscire di casa, di fare in autonomia piccole, grandi attività ha ulteriormente destabilizzato i ragazzi e le ragazze con ASD, che hanno già dovuto rapportarsi con un mondo tutto nuovo, fatto di esseri di cui non possono vedere e interpretare il viso come vorrebbero.
Quando finalmente torneremo in vasca con loro potremmo avere molti bambini e ragazzi con reazioni non più prevedibili come prima, comportamenti problema maggiormente lunghi e intensi, alti livelli di iperattività, irrequietezza o una più accentuata propensione all’isolamento. Come insegnante di scuola primaria, con alcuni miei alunni sto già vivendo alcune di queste situazioni, ma nulla che non possa essere superato con tanta pazienza e naturalezza. E non vedo l’ora di poterlo fare anche in acqua il prima possibile. Oggi, nella Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo 2021, è il mio più grande augurio.

Jessica Di Maggio – terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva

Cosa determina l’importanza è l’essenzialità di un servizio tale da decidere chi resta aperto e chi invece chiude?
Provate a chiederlo ai bambini.
È solito infatti pensare ai bambini come fonte di verità e in molti sapranno sicuramente elencare i loro interessi preferiti e tutto quello che gli manca in questo periodo.
E i bambini con disturbo dello spettro autistico? Loro, specie se non verbali, non hanno questo “privilegio”.
La cosa certa è che si sono improvvisamente trovati privati della loro routine: niente scuola, niente trattamenti, niente sport, niente corso in piscina, nessuna possibilità di momenti da trascorrere con i loro pari.
Quella routine che gli garantisce la scansione precisa della giornata e soprattutto gli dona sicurezza è sparita un anno fa. È poi tornata per un periodo limitato, poi è nuovamente sparita e ad oggi si può dire che sono rientrati i trattamenti e la scuola ma in maniera individualizzata, se tutto va bene con un gruppetto ristretto di coetanei.
Lo sport e in maniera particolare l’acquaticità, che in tanti adorano, sono sospesi a data da definirsi. Sono quindi chiusi i contesti e le occasioni per “utilizzare” quanto eventualmente acquisito a casa ed in terapia. In altri termini è in stand-by la generalizzazione degli obiettivi raggiunti.
Le famiglie sono state lasciate sole nella gestione delle giornate dei loro figli con autismo, improvvisamente diventate vuote in termini di attività.
È proprio per questo che lo scopo principale di questo 2 Aprile 2021 dovrebbe essere quello di garantire nuovamente l’inclusione di cui tanto parliamo, di dare la possibilità a questi bambini di sperimentare il movimento ed avere contesti che regalino loro la possibilità di interazione, di scambio e anche di confronto. È importante non lasciar soli loro e le loro famiglie, in un periodo in cui tutti abbiamo sperimentato la solitudine e la sensazione di sentirsi un po’ Stranger in a Strange Land.

Francesca Nasuelli – insegnante della scuola primaria, specializzata nel sostegno

Dell’autismo cosa sappiamo? Tutto e niente.
Già questa consapevolezza ci fa piombare a piè pari nel grande mistero del Disturbo dello Spettro Autistico.
Potremmo paragonarlo alla Fossa delle Marianne: sappiamo che esiste, sappiamo che non è una leggenda, sappiamo dov’è, sappiamo quanto è profonda, ma non sappiamo ancora abbastanza di questo luogo così difficilmente esplorabile. Alcune cose però possiamo escluderle a priori e non sono cose da poco. Per millenni gli esseri umani hanno pensato che gli abissi fossero popolati da creature bizzarre e mitologiche, ma la scienza e il progresso ci hanno aiutato a scoprire che è impossibile trovare un drago marino colorato nelle acque profonde.
Allo stesso modo, ora sappiamo che l’autismo non è causato da madri-frigofero, neanche dai vaccini, men che meno da traumi emotivi nella primissima età.
Il disturbo dello spettro autistico è multifattoriale, partiamo da cause genetiche e ambientali che -combinate insieme come se fossero note musicali- danno vita ad una sinfonia che spazia dall’alto funzionamento al basso funzionamento, dove per funzionamento si intende il padroneggiare diverse abilità: parola, relazione sociale, adattamento all’ambiente circostante.
Quale sia esattamente il rapporto di causa-effetto tra i diversi fattori ancora non è dato saperlo. Sappiamo, in altre parole, cosa scatena la sinfonia ma non il perché. Ma cos’altro sappiamo?
Nelle certezze possiamo annoverare il disturbo autistico come problema di interazione sociale, principalmente.
Detto in altre parole: rapportarsi con una persona autistica è difficile e complicato, ma non impossibile.
Le strategie e le buone prassi sono molte fortunatamente.
Far leva su ciò che è già l’area di competenza dimostrata, per esempio, o area di talento se si tratta di autismo ad alto funzionamento, può coadiuvare l’insegnamento di nuove abilità. Non ha senso, ciò vale per l’essere umano anche neurotipico, far esperire la frustrazione di “non saper fare” per “imparare a fare”. Mantenere il contatto oculare mentre si parla e spronare a farlo; utilizzare ogni possibile linguaggio: se la parola dovesse essere assente, la comunicazione aumentativa alternativa può venirci incontro (se la parola è assente, non lo è l’esigenza comunicativa).
Rispettare le abitudini e le routine messe in atto dal soggetto autistico, fossero anche le più bizzarre, perché hanno un effetto calmante e -ad un secondo livello- modificarle lentamente se inficiano la vita quotidiana. Un mio alunno ad alto funzionamento non riusciva a seguire la lezione se i miei oggetti sparsi sulla cattedra non erano perfettamente allineati. Mi si avvicinava e chiedeva educatamente di ristabilire l’ordine: una faccenda di pochi secondi che garantiva la sua attenzione massima per ore a ciò che veniva spiegato.
Do ut des: lui imparava la grammatica, io imparavo l’ordine!
Per ultimo, ma non ultimo di importanza: insegnare a nominare l’emozione che si prova. Comprendere e comunicare i propri stati d’animo è una caratteristica umana essenziale, è fonte di benessere a più livelli. Più so spiegare ciò che provo,
più si alzano le possibilità di non incappare in crisi con conseguenze comportamentali importanti.
Le strategie elencate vanno a parare nella grande famiglia dell’accoglienza. Essere accoglienti, aperti e attenti alle reazioni mette già l’altro in una condizione di poter provare l’emozione incredibile dell’essere accettato, proprio così com’è.
Da questo punto in poi, l’insegnamento diventa significativo e produttivo.
Buona giornata della consapevolezza autistica!

Elena Pattini – psicologa e psicoterapeuta

Ettore ha 14 anni, è biondo con gli occhi verdi, ha una mountain bike blu elettrico, la sindrome di Asperger, i piedi lunghissimi e una mirabolante passione per i numeri e per la fisica.
Un giorno gli ho chiesto come fosse il suo umore da uno a dieci. E lui mi ha risposto: “Pi greco al quadrato”. Gli ho raccomandato: “Se ci sono giorni in cui il livello scende sotto la radice quadrata di nove, scrivimi per favore”. Quel giorno arrivò. Non poteva più praticare sport a causa del Covid e non poteva più frequentare il centro di ricreazione giovanile in cui studiava al pomeriggio.
Ettore immagina la sua settimana attraverso istogrammi, ogni giorno è un istogramma, più o meno alto a seconda della lunghezza della giornata e delle attività che aveva programmato. La sua settimana aveva una forma specifica, una sorta di skyline nella sua testa, che ora era cambiata, e questo aumentava il suo livello di ansia e abbassava il suo umore. Abbiamo provato a dare un significato alle sue giornate “nuove” con altre attività in modo da ristabilire l’equilibrio tra gli istogrammi. Ci siamo riusciti, con tanta fatica.
Non posso cambiare la visione del mondo di Ettore, non posso cambiare le lenti con cui guarda la realtà, ma posso infilarle per un attimo sopra i miei occhiali e vedere insieme a lui. È il mondo che deve cambiare lente e adattare il suo sguardo, non Ettore. Ettore non ha scelto le sue lenti, noi invece possiamo farlo. Noi possiamo essere i suoi occhi e restituirgli un mondo meno ostile.

Ph. ©Olya Kobruseva@Pexels

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