Domenico Fioravanti: “Il miglior allenatore è quello che cresce insieme all’atleta. Castiglioni? La porterei a Tokyo, anche se…”

Mai negli ultimi vent’anni la rana azzurra aveva conosciuto una simile proliferazione di talenti. Per tornare ai fasti odierni bisogna riavvolgere il nastro alla prima metà degli anni Zero, con Davide Rummolo, Paolo Bossini, Loris Facci e, naturalmente, sua maestà Domenico Fioravanti: primo nella storia a centrare la doppietta olimpica 100-200, modello per chiunque voglia cimentarsi nella specialità più tecnica. Naturale quindi chiedere a lui un parere sulla situazione.

Nuoto•com •  Prima di Domenico Fioravanti non esisteva una tradizione italiana nella rana, oggi ci troviamo con l’imbarazzo di scegliere fra tre atlete sotto il tempo limite per Tokyo. Qual è il tuo punto di vista su questo autentico Rinascimento?

Domenico Fioravanti • È un gran bel vedere. C’è una relativa stasi nei 200, ma nelle distanze brevi… Accidenti! Con Fabio Scozzoli fermo ai box non pensavo che Nicolò Martinenghi potesse già andare così forte, poi c’è l’incredibile trio Martina Carraro Arianna Castiglioni Benedetta Pilato… Direi che c’è stata una bella evoluzione. Come osservavano giustamente i telecronisti RAI  Tommaso MecarozziLuca Sacchi, neppure negli USA hanno un terzetto di atlete da 1’06. È evidente che negli anni è cresciuto un movimento importante: dietro alle punte altre ragazze e ragazzi si stanno mettendo in luce, a cominciare da Alessandro Pinzuti. Questo mi fa molto piacere, mi fa piacere l’idea di tornare a giocarci carte importanti alle Olimpiadi vent’anni dopo Sidney.

NPC • Quanto conta l’allenatore nell’evoluzione di un atleta in una specialità tecnicamente complessa come la rana?

DF • Non so risponderti con precisione, però rifletto sulla situazione di Martinenghi: Nicolò ha un allenatore, Marco Pedoja, che lo segue da quando era bambino e che essendo molto giovane è sostanzialmente cresciuto insieme a lui. Al di là degli aspetti metodologici, sui quali non sono in grado di pronunciarmi, credo che la chiave stia in questa profonda conoscenza reciproca, nella capacità del tecnico di comprendere tutte le necessità dell’atleta e costruirgli intorno un ambiente il più possibile adeguato alle sue necessità. Nella rana la tecnica, e in particolare la coordinazione, è tutto: Alberto Castagnetti ripeteva sempre che è come nuotare due stili in uno, con le braccia che fanno una cosa e le gambe che ne fanno un altra, ed è quindi richiesta una maggiore attenzione ai dettagli. Come osservavi all’inizio l’Italia non aveva una tradizione nella rana, e quindi gli allenatori dei miei tempi hanno fatto esperienza con e su di noi. Lo stesso Castagnetti, prima di seguire me, aveva esperienze di alto livello solo con stileliberisti, e in effetti io svolgevo la mia preparazione interamente a stile libero nuotando a rana e negli altri stili -io nasco mistista- unicamente i lavori specifici. Credo però che a favorire tutta l’evoluzione successiva sia stato soprattutto il cambio di prospettiva: io e gli altri medagliati di Sidney abbiamo dimostrato che era possibile raggiungere certi risultati, che non bisognava partire sconfitti in partenza perché la tradizione ci era contraria. Credo che questo abbia contribuito ad aprire la mente delle future generazioni, non solo degli atleti ma anche degli allenatori, che oggi “sfornano” atleti di buon calibro a tutte le latitudini senza alcuna forma di sudditanza psicologica.

NPC • A proposito di sudditanza psicologica: credi che oggi Adam Peaty sia battibile?

DF • Per quest’anno temo ancora no. Peaty può permettersi di nuotare un secondo sopra il suo limite ed avere ancora un buon margine di sicurezza sugli avversari. Oggi gli amici mi prendono in giro bonariamente in giro dicendomi che con il mio 1’00.46 “andavo proprio piano”. Ma erano ventuno anni fa, e io nuotavo anche i 200! Ecco, questo è un grande cambiamento: dopo che io e Kosuke Kitajima abbiamo realizzato la doppietta 100-200 per tre Olimpiadi di fila (Fioravanti Sidney 2000, Kitajima Atene 2004 e Pechino 2008, NdR), oggi siamo tornati alla situazione degli anni Ottanta-Novanta con gli specialisti dei 100 e quelli dei 200. Tornando al tema dell’approccio mentale, quella che davvero spero i nuotatori italiani superino definitivamente è la tendenza a risparmiarsi durante le batterie, perché se vuoi vincere a livello internazionale è proprio in batteria che devi andare forte. Una cosa è tenersi qualche decimo di riserva nelle braccia, altro è nuotare le batterie col freno a mano tirato.

NPC • Domanda secca: porteresti a Tokyo Arianna Castiglioni?

DF • Io sono un sentimentale e istintivamente ti rispondo di sì, anche in considerazione dei problemi che Arianna ha dovuto affrontare, però è anche vero che lo sport è spietato, e lei oggi è la numero tre. Considerate le staffette miste e l’opzione 200, io comunque la porterei… Chissà? Magari la vicenda Covid le ha dato una leggerezza mentale senza la quale avrebbe ottenuto tempi differenti, e io sono convinto che per un nuotatore la testa conti molto più del fisico. Chi può dirlo? Certo non vorrei essere nei panni del direttore tecnico.

NPC • Le Olimpiadi di Tokyo si svolgeranno, come gli Assoluti di Riccione, a porte chiuse. Quanto influisce la presenza del pubblico sulla performance? E l’assenza di spettatori penalizzerà più gli esordienti o i veterani?

DF • Il pubblico è sempre uno stimolo in più: le tribune vuote mettono un senso di desolazione terribile. È vero che in acqua non vedi, non senti e non pensi ad altro che a te stesso, ma il brusio, il calore di un impianto affollato si percepiscono. E aiutano. Probabilmente le porte chiuse favoriscono i più giovani, perché ti posso assicurare che uno stadio del nuoto gremito di migliaia di tifosi mette davvero soggezione.

Ph. ©G.Scala/Deepbluemedia

 

 

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