Un fotografo italiano a Tokyo. Episodio 7: il principio di Peter

Salvato dalla seconda sveglia, arrivo in tempo per tutta la procedura delle finali. Una postazione bruttina (in prima fila in tribuna “pubblico”), decente per cogliere eventuali esultanza ma orribile per fotografare podio e medaglie.

A parte l’atleta tunisino che rinverdisce la tradizione che vuole una medaglia del primo giorno arrivare da una corsia periferica, possibilmente dall’altra parte del mondo o nascosta dai tabelloni pubblicitari, che qui non ci sono.

Già, non ci sono i tabelloni pubblicitari. Il bello delle olimpiadi. Coca cola paga miliardi per essere sponsor e poi non figura neanche. Una delle poche cose buone che ancora ci sono.

Invece i diritti televisivi rendono. oggi c’erano sette (SETTE) telecamere davanti al podio. I cameraman vestiti di bianco con completini-pigiama che avrebbero suscitato l’invidia di Cristiano Malgioglio. Impossibile scattare anche una sola foto. Posso solo sperare che vinca Pekka-Liukkonen che è alto sei metri e svetterebbe.

I medagliati si sarebbero dovuti fermare davanti alla nostra postazione e invece no, quindi ho dei buchi di medagliere che non avevo dal tempo degli encomi ad Enrico Toti e Francesco Baracca.

Mentre aspetto il mio autobus nel parcheggio mi rendo conto che potrei aver dato l’impressione che qui l’organizzazione sia un disastro. Non è proprio così, è una manifestazione come un’altra. È il Giappone che non è il Giappone che ci immaginiamo, un luogo dove tutto funziona alla perfezione e in caso di malfunzionamento si procede a suicidio rituale (ci sarebbe una strage).

Io mi trovo spesso a far parte dei comitati organizzatori o di strutture collaterali, in funzione di liaison fra la Federazione ospitante e l’Ente organizzatore (ad esempio la Lega europea di nuoto, LEN), quindi cerco sempre di mettermi nei panni di chi gestisce un evento, come credo la maggior parte delle tre persone che leggono questo blog saranno gestori di impianti e sanno quanto è difficile organizzare una manifestazione. Si va verso una sempre maggiore specializzazione.

La prima cosa che ci si aspetta è che, quando si decide di organizzare un evento, vengano messe le persone giuste nei posti giusti. Purtroppo spesso le cariche vengono assegnate per ragioni politiche: è mio amico, è figlio dell’assessore, lo fa da centodieci anni. Quindi spesso troviamo la persona sbagliata al posto sbagliato.

Ci deve essere una legge, probabilmente un corollario a quella di Murphy, che spiega perché vengono assegnati con tanta leggerezza ruoli chiave in eventi che, come nel caso delle Olimpiadi, sono di tale rilevanza da bloccare letteralmente il mondo: i Giochi forse non fermano più le guerre ma certamente le nascondono sotto il tappeto -a parte quel rincoglionito del judoka algerino che si ritira per non rischiare di incontrare un israeliano (che poi: io non prendo posizione, ma quando mai a un musulmano può capitare l’occasione di menare un ebreo senza ritorsioni?).

E così nei comitati organizzatori si incistano personaggi completamente inutili che fanno danni. La situazione, meglio: il casino che stiamo vivendo qui è palesemente frutto di incapacità e mancanza di esperienza. Gente che non si parla, mancanza di coordinamento. Esempio banale: non è possibile che in questo gigantesco parcheggio che funziona come hub dei trasporti non ci sia un metro quadro dove ripararsi. Domani è previsto l’arrivo del tifone, e secondo gli organizzatori noi dovremmo stare qui per trenta minuti ad attendere l’autobus completamente esposti alle intemperie.

Ho la netta sensazione che, dopo il primo rinvio, abbiano deciso che per queste Olimpiadi non avrebbero più speso una lira, pardon yen.

La gente sbagliata al posto sbagliato comunque si trova sempre: poche regole sono veritiere e verificabili come il principio di Peter, per il quale ciascun lavoratore sale nella gerarchia fino a raggiungere il proprio massimo livello di incompetenza. Sei un bravo meccanico, ti promuovono capofficina, sei un pessimo capofficina ma ormai quello fai, e combini disastri. Sarà questo il caso? Sta di fatto che, pur consapevole di essere un privilegiato e che moltissime persone vorrebbero essere al mio posto, sembra che qui far funzionare le cose sia un’impresa disperata. Vero che il Covid ha modificato tutte le procedure, ma altrettanto vero che c’era un anno di tempo per adeguarsi, ad esempio telefonando agli organizzatori di Rio 2016 e chiedendo “scusate, ma voi come avete fatto?”

Domani cercherò una postazione migliore.

 

 

 

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