Un fotografo italiano a Tokyo. Episodio 9: vele, frittura e schiaffi

Ho appena scollinato il traguardo delle trentamila foto scattate a queste Olimpiadi, perché nel frattempo è iniziato il torneo di pallanuoto.

La pallanuoto è piuttosto divertente da fotografare, ma ci sono regole ancora più stringenti che per il nuoto. Ci sono pochi posti, scomodi, con una pessima visuale; in una parola: una porcata. In più ho pensato bene di sedermi per terra in un angolo dove si poteva fare per avere una migliore visuale e adesso sto lavorando con il culo bagnato.

Qui si continua a vivere con il fiato sospeso: dopo Federica Pellegrini nelle batterie anche Gregorio Paltrinieri entra in finale con l’ultimo tempo utile. È vero che Gregorio ha tutte le scusanti del mondo, perché prendere la mononucleosi a un mese dai Giochi è una catastrofe e in più tutti gli altri partecipanti sono entrati in finale a suon di record nazionali, ma la situazione è preoccupante. Stiamo tutti qui a chiederci quanta benzina sarà rimasta nel serbatoio… Speriamo bene.

Se devo stilare una classifica delle mie idiosincrasie professionali, al primo posto c’è sempre la televisione. Mi chiedo: una manifestazione ha davvero bisogno di questa miriade di telecamere? Credo che fra broadcast host (il produttore del segnale) e le monolaterali (quelle dedicate alle singole reti) ci siano non meno di centocinquanta telecamere puntate sulla vasca. Mi chiedo quali sostanze assuma il regista per poter gestire tutte queste fonti in contemporanea. Secondo me usa sempre le stesse cinque o sei e il resto è tutta fuffa.

Ieri volevo scattare qualche foto decente della prima batteria dei 1500 femminili: stiamo parlando di una serie con tre atlete partecipanti. Una era di Malta e l’altra di San Marino,  e mi hanno chiesto sostanzialmente qualche foto ricordo. Per non fare la solita immagine a campo stretto, che potrebbe essere stata scattata ovunque, ho cercato di allargare l’inquadratura in modo da farci entrare il logo olimpico. Per fare questo sono sceso sulla pedana più bassa della nostra postazione e così facendo ho inavvertitamente posato un piede sul bordo vasca. Tenete presente che tra il mio piede e l’acqua c’erano cinque metri abbondanti. Immediatamente sono stato cazziato dall’addetto alla postazione. Oggi sono stato raggiunto dal vice photo manager, l’unico brasiliano antipatico che ho conosciuto nella vita, per un secondo cazziatone. Poi è arrivata la photo manager, una garbata signora inglese che mi ha chiesto se veramente mi ero sporto dalla piattaforma. Infine è arrivato il richiamo ufficiale della produzione televisiva in quanto, durante la seguitissima prima batteria dei 1500 femminili, si è visto un mio piede sporgere dalla piattaforma. Apprendo con sollievo che oltre al richiamo non sono previste pene corporali o l’amputazione dell’arto, però mi chiedo anche per quale motivo non valga il principio di reciprocità: perché, cioè, al momento delle premiazioni le telecamere possano impunemente affollarsi davanti al podio limitando la visuale dei fotografi.

Altro episodio irritante: mi è stato impedito di spostarmi da una postazione all’altra durante l’intervallo tra primo e secondo tempo di una partita di pallanuoto, sulla base di un regola per la quale gli spostamenti dei fotografi sono consentiti solo a metà del match: una regola evidentemente scritta da qualcuno che di pallanuoto non capisce una mazza e che pensa che le partite, come quelle di calcio, siano divise in due sole frazioni. E questo ci riporta alle mie riflessioni di ieri sui livelli di incompetenza.

“Miracolo” è una parola che deriva dal latino “Mehercules”, “per Ercole!”, un’esclamazione che si pronunciava in occasione di eventi fuori dal comune, esattamente com’è capitato a me questa sera trovando l’autobus già pronto a partire per l’albergo. Con meno rancore dei soliti resoconti dal parcheggio deserto, vi parlerò comunque delle situazioni più e meno ostiche da fotografare.

50 e 100 (ma soprattutto 50) stile libero: di queste gare si fotografano la preparazione, la partenza, l’arrivo. Sono pochissimi gli atleti fotografabili durante queste prove. Uno era Alexandr Popov: un alieno, si sganciava dalla massa e sollevava pochissima acqua.

200 e 400 stile libero: le gare perfette. Gli atleti nuotano veloci ma in modo meno frenetico e con maggiore scivolamento.

800 e 1500: una quaresima. Gare lunghe nelle quali non si sa come passare il tempo, a meno di non fare mille foto a ciascun partecipante

Fra gli stileliberisti si annida la categoria dei “fetenti”: i nuotatori che respirano sempre verso l’interno della vasca, di modo che o non li fotografate mai perché vi danno sempre la schiena o siete costretti a fotografarli da molto lontano perché state dalla parte opposta della piscina. Tipico degli atleti ungheresi e, recentemente, del tedesco Florian Wellbrock. Oggi però Wellbrock l’ho beccato: mi sono accorto che durante l’ultimo ciclo di bracciata prima della virata respira dalla parte opposta. Purtroppo al controllo del limite dei 15 metri era preposto un giudice con il fisico da lottatore di sumo che mi ha costretto a un drastico spostamento per portare a casa una foto di Wellbrock che respira a destra

Poi c’è la categoria degli stileliberisti che “sanno nuotare” e respirano nell’incavo dell’onda che creano avanzando, anche loro difficilissimi da fotografare: devi inquadrarli con un angolo di almeno 45 gradi dopo che ti sono passati davanti. Uno di questi soggetti era Emiliano Brembilla.

Poi c’è l’ulteriore sottocategoria di quelli che fanno “la vela”, fra i quali Mikhaylo Romanchuk. Spiego: ad ogni bracciata Romanchuk va completamente sott’acqua con la testa e il corpo. Quando distende il braccio per andare in presa, fra braccio e testa immersa si crea uno zampillo d’acqua che si apre e diventa, appunto, una vela.

La vela di Romanchuk

Anche Sun Yang, il malefico Sun Yang, realizzava vele bellissime.

La vela di Sun Yang

Per fotografare la vela bisogna inquadrare il nuotatore mentre avanza verso il fotografo, quindi bisogna posizionarsi avendo già in mente di cercare quel tipo di scatto.

Anche negli altri stili le gare brevi sono un disastro per i fotografi: tra subacquee, mancate respirazioni e ribollire dell’acqua è difficilissimo portare a casa scatti decenti.

Più semplice il lavoro con la rana, lo stile più lento e con respirazione frontale. In parole povere: se non sai fotografare i ranisti sei una pippa, anche se sta prendendo piede questa nouvelle vague inaugurata dall’altrettanto malefica Yuliya Efimova, che io chiamo della rana accartocciata, con le spalle incurvate la testa reclinata e il recupero delle braccia davanti al volto. La nostra Martina Carraro fa parte di questa categoria e non è facile da fotografare. Se anche si riesce a inquadrare l’atleta, il viso è rivolto verso il basso e risulta più scuro. Il problema non sussiste nei 200, quando la nuotata è più distesa e fotogenica. Ci sono degli scatti di Marco Koch  di fronte ai quali rimane solo da chiedersi “Dove mettiamo la cravatta?”

L’accartocciata Yuliya Efimova

 

Il fotogenico Marco Koch

La farfalla invece ha il problema del “fritto”. Cos’è il “fritto”? Nella fase di recupero il farfallista scaglia davanti a sé dell’acqua che poi gli copre la faccia durante la respirazione immediatamente successiva, con un effetto simile a quello che si verifica gettando dell’acqua sull’olio bollente (NON FATELO A CASA): un’esplosione di goccioline che coprono completamente il volto. Caso tipico, Sarah Sjöström. Il problema può essere risolto ritardando impercettibilmente la fotocamera in modo che scatti quando le gocce si sono diradate, ma bisogna ricordarselo.

Fritto misto servito da Sarah Sjöström

Il dorso è forse lo stile più bello da fotografare, in particolare due momenti: la “bolla” e l’uscita dalla subacquea. La bolla è quello strato d’acqua che rimane incollato sul nuotatore prima di cedere alla tensione superficiale. Purtroppo, a parte Simone Sabbioni che esce preciso ai 15 metri, tutti sbucano fuori dove gli pare e non è semplice inquadrarli. Margherita Panziera fa delle splendide bolle, rese bizzarre dall’uso del tappanaso.

Margherita Bubble Panziera

Per l’uscita dalla subacquea bisogna posizionarsi a bordo vasca per immortalare il tripudio di (ancora) bolle conseguenti alla risalita. È uno scatto molto bello ma molto difficile da realizzare perché bisogna che le bolle siano a fuoco.

Uscita dalla subacquea di Simone Sabbioni

I misti sono rilassanti perché c’è tempo e modo per fare un po’ di tutto, l’importante se possibile è posizionarsi dal lato opposto alla partenza che è quello, più stimolante, delle virate.

Le staffette sono un casino. Innanzitutto perché non si riesce mai a fotografare tutto il quartetto, salvo che non sia all’uscita della camera di chiamata, ma quella è una visuale sempre riservata alla maledetta televisione e non ai fotografi. Quando arrivano al blocco iniziano con tutti i loro rituali: svestizione, gargarismi, balzi, e c’è sempre uno girato di spalle. Quindi, cari amici della stampa, rassegnatevi: la foto di tutti e quattro non si può avere. Una volta in gara si fotografano essenzialmente i cambi e si attende finalmente il momento dell’arrivo per fotografare l’esultanza o lo sconforto del gruppo. Ma in quel momento c’è sempre un giudice di mezzo che deve controllare non ho mai capito bene cosa. Ma perché? Che controlli? Che ti guardi? Guardone! Il giudice di arrivo standard pesa in media duecento chili e copre tutto, poi finalmente si sposta e a quel punto ricomincia il circo: uno di schiena, due si abbracciano, uno piange o si congratula con gli avversari e insomma non sono mai tutti insieme. A questo punto quando posso mi intrufolo a bordo vasca, li chiamo, si mettono in posa, scatto e vengo cacciato a schiaffi dal photo manager.


Incursioni

Lo stesso accade durante le premiazioni: è importante conoscere il nome, ma soprattutto il soprannome, il nickname di tutti, così li chiami si girano e a quel punto devi sapergli dire di mostrare la medaglia. Io so dire “mostrami la medaglia” in una decina di lingue almeno. Purtroppo non so ancora come si dice nei principali idiomi “Togliti sto cazzo di mascherina”.

Sto studiando.

Ph. ©G.Scala/Deepbluemedia

 

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