4×100 maschile mista – Lo Stile Libero. Antonio Satta: “La tranquillità prima di tutto. Ora già concentrati su Parigi 2024”

Roma – Campionati Italiani. Abbiamo incontrato gli allenatori dei quattro atleti della staffetta maschile mista di Tokyo. Staffetta che ha regalato al nostro Paese un bronzo olimpico. Ad ognuno di loro abbiamo chiesto di raccontarci le emozioni di questa Olimpiade e il percorso di crescita dell’atleta che seguono.

Antonio Satta, allenatore di Alessandro Miressi.

Ph. Giorgio Scala / Deepbluemedia / Insidefoto

L’Olimpiade di Alessandro, vista con gli occhi e sentita con le emozioni del suo tecnico, visto che per tutti i componenti della staffetta (atleti e allenatori) era la prima esperienza olimpica.

Sicuramente è stata un’esperienza fortissima, che ha portato qualche atleta a rimanerne completamente schiacciato, qualche altro a gestirla in maniera parziale e qualcuno a viverla splendidamente. Prendo esempio anche dagli altri sport, l’atletica, per citarne uno. Per me è stata un’esperienza solo emozionale. Per come l’ho vissuta io, quello che hai fatto prima, a livello di allenamento, c’è e resta. L’emozione ti porta a volare più in alto. Personalmente credo che il risultato della staffetta sia proprio il risultato di questo: l’unione dei ragazzi. Secondo me eravamo pronti anche prima per prendere delle medaglie internazionali, ma probabilmente mancava quella coesione fra i ragazzi, lo spirito di gruppo. Quel crederci davvero che poi ti fa arrivare quarto o quinto anziché secondo o terzo. Aggiungerei che anche la sintonia e la collaborazione che si è creata tra noi tecnici ha fatto la differenza, noi abbiamo cominciato a crederci veramente da dopo gli europei e probabilmente siamo riusciti a trasferire questa cosa ai ragazzi. Addirittura Alessandro mi ha chiesto di non fare i 50 stile proprio per poter fare la staffetta mista. Aveva un tempo identico a quello di Zazzeri, quindi poteva anche giocarsi una finale olimpica nei 50, però lui era concentrato sulla mista e così lo ho assecondato. Questa volta, tra loro, c’era qualcosa di più oltre ai singoli tempi. Ci siamo molto uniti in quei giorni anche tra noi tecnici: facevamo delle videochiamate con tutti e quattro i ragazzi e questo forse ha creato quello spirito che ha reso possibile tutto questo. Fino a due anni fa sembrava utopia. 

Quindi per me l’Olimpiade è stata proprio pura emozione. Ho messo in disparte tutto il percorso fatto, un percorso che per noi è stato difficile, visto lo stop di febbraio e poi il fatto che Alessandro fino all’ultimo non ha mai avuto la certezza di fare i 100 stile. Era stato convocato per la staffetta perché aveva fatto il tempo, ma lui voleva questo sigillo di avere la certezza di fare la gara individuale e fino all’ultimo non è arrivato. Quindi è comprensibile come non sia stato facile gestire la preparazione. Abbiamo comunque dovuto preparare i campionati assoluti anche se lui arrivava da un mese di stop causa Covid. Volevamo preparare il campionato europeo perché Alessandro necessitava di un risultato che lo sbloccasse. E poi abbiamo cercato di nuovo il picco di forma per le Olimpiadi: tutto questo, da un punto di vista prettamente fisiologico, non era per niente semplice. Mi sento di dire che la motivazione ha compensato tutte le difficoltà di preparazione. L’Olimpiade mette a nudo tutto: punti di forza e fragilità. Se come Nazionale siamo riusciti a portare a casa due medaglie in staffetta è perché sotto c’era qualcosa in più che andava solo tirato fuori. 

Con Alessandro ho fatto anche un grande lavoro, chiamiamolo di “protezione”: ho cercato di tenerlo lontano il più possibile da tutte le pressioni mediatiche e social che ci potevano essere, perché sapevo quanto tutto questo poteva condizionarlo in maniera negativa. Ho avuto la fortuna di essere tra gli allenatori presenti al villaggio olimpico e quindi ho potuto continuare a fare questa cosa che avevo iniziato da dopo l’Europeo. Fino al Sette Colli sapevo di essere presente al pre-olimpico, essere lì anche dopo mi ha permesso di andare avanti con Alessandro e di essere di supporto anche agli altri ragazzi della staffetta, Nicolò Martinenghi in particolar modo. Riuscivo a essere un tramite tra loro e i loro allenatori a casa. Si sono fidati di me, hanno capito che ero lì per supportarli e che le indicazioni non erano le mie ma quelle dei loro allenatori da casa. Si è creata quella fiducia e quella sintonia che ti permette di fare le cose bene. Come accade anche nelle società: dove tra gli allenatori non corre buon sangue, non verrà fuori mai niente di buono. Per questo io continuo a sottolineare l’importanza di tutti quegli aspetti che sembrano fuori dal controllo del tecnico perché meno tangibili e invece sono primari. 

L’Olimpiade di Alessandro da un punto di vista tecnico nella frazione da lui interpretata in staffetta, ma anche per quanto riguarda la gara individuale. 

Onestamente ho fatto un’analisi solo parziale: ho bisogno di tempo e di calma. Mi guarderò con calma tutti i video che mi manderà Ivo Ferretti e farò tutte le valutazioni del caso a bocce ferme. Ad oggi posso dire che le difficoltà dal gestire i turni di gara erano dettate proprio dall’emozione di essere alla prima Olimpiade, dalle pressioni, dalle aspettative, la consapevolezza che ti stai giocando qualcosa che ti cambia la vita. Per me Alessandro ha fatto il suo e lo ha fatto assolutamente bene: arrivare alla prima Olimpiade e portare a casa due medaglie in staffetta e una finale nella gara individuale può  essere solo un resoconto positivo. Ovviamente speravo anche nella medaglia singola, ma non sono assolutamente rammaricato. Anzi, direi che per Alessandro, ma anche per me, è perfetto per mantenere alta la concentrazione in vista di Parigi 2024. È la giusta esperienza da portarsi a casa in vista della prossima olimpiade. 

Ph. Giorgio Scala / Deepbluemedia / Insidefoto

Sono tutti ragazzi molto giovani e con un grande potenziale. Alessandro è allenato da te da nove anni: qual è stato il suo percorso di crescita? Percorso che ha portato a grandi risultati fino a quello olimpico: e naturalmente ci auguriamo tutti che questa sia una tappa di un viaggio sportivo molto lungo. 

Seguo Alessandro da quando era un ragazzino che a malapena faceva i Criteria. E insieme siamo arrivati fino a qui. Questo percorso si è basato fondamentalmente sull’esigenza del gruppo di lavoro. Alessandro nuota all’interno di un gruppo di sedici elementi, una situazione che sicuramente è atipica per un atleta come lui. Ovviamente gli altri ragazzi hanno obiettivi diversi dai suoi, ma lui ha sempre manifestato il bisogno di stare all’interno di un gruppo e non avere un rapporto esclusivo con me. E questa è stata la sua forza. 

Eravamo entrati nel progetto federale della velocità con Claudio Rossetto nelle stagioni 2018-2019, quindi Alessandro ha fatto i vari collegiali con la Nazionale, dopodiché il ragazzo ha chiesto di tornare a casa, di non fare più i collegiali e di programmare l’Olimpiade a casa, da solo. Naturalmente questa scelta è stata condivisa con la Federazione e sicuramente posso solo ringraziare per questo, per aver accettato che Alessandro uscisse dal progetto e che portasse avanti la sua preparazione nuotando sempre a casa. C’è il luogo comune che se si vuole fare il salto di qualità bisogna prendere e andarsene da casa. Io ho sempre sostenuto che questa cosa è estremamente soggettiva: ci può essere l’atleta che per carattere è più stimolato se si confronta con altri e in contesti lontani da casa, e c’è l’atleta, come nel caso di Alessandro, che trova maggiore forza proprio stando a casa sua. Noi siamo anche stati fortunati perché dal punto di vista dell’impiantistica e per il supporto della società non ci mancava assolutamente nulla. Tutto questo è stato sicuramente possibile grazie al supporto della mia società. Se Alessandro fosse stato da solo, in una vasca da 25 e senza gruppo, sarei stato il primo che avrei cercato di portarlo in giro. Ma il contesto nel quale lui si è allenato era ideale, e lui era tranquillo. Mi rendevo conto che a casa funzionava meglio. Tant’è che proseguiremo così: il mio ruolo prevede non solo che io alleni Alessandro, ma che crei le condizioni migliori per il ragazzo, affinché lui possa esprimere tutto il suo potenziale. La sua tranquillità per me è prioritaria rispetto a tante altre cose, se per la sua tranquillità devo fare qualche scelta impopolare, la faccio.

Ecco perché ci tengo a sottolinearlo: l’aspetto mentale, emozionale e motivazionale va al di sopra di quella che è la preparazione atletica, la programmazione. Se sei una persona equilibrata il tuo lavoro riesci a farlo bene; se hai degli irrisolti, puoi allenarti bene quanto vuoi, ma in un momento forte come quello di un’Olimpiade viene fuori tutto. Noi abbiamo a che fare con esseri umani, non con macchine: non dobbiamo dimenticarlo mai. In una competizione così importante tutto viene amplificato, me ne sono reso conto vivendola da dentro questa situazione. Quindi se non hai lavorato bene sull’aspetto emozionale, le probabilità di insuccesso aumentano. Ecco perché la sintonia tra atleta e allenatore diventa fondamentale e, in alcune situazioni, vincente.

Ph. Giorgio Scala / Deepbluemedia / Insidefoto

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