Lo strano amore di Shelley per il nuoto

Quando si vede quella bella casa bianca, insolita nella forma e nei colori per essere ligure, che fa da confine tra il borgo di San Terenzo e la città di Lerici, nel golfo di Spezia, conosciuta come casa Shelley, non si può non pensare immediatamente allo strano amore per il nuoto di quel poeta che l’abitò esattamente due secoli fa.

casa Magni

Casa Magni, così si chiamava nel 1822, aveva il mare che arrivava ai cinque portici. Praticamente si trovava in mezzo al nulla. Davanti aveva l’acqua. Dietro il bosco: noci e lecci a perdita d’occhio. Il primo piano aveva il pavimento in terra battuta. Nel secondo c’erano le stanze. Percy Bysshe Shelley, il famoso poeta inglese, c’era arrivato dopo quattro anni di peregrinazioni in l’Italia. Quella casa era perfetta per lui. Aveva l’acqua, la natura, e poteva viverci a modo suo, lontano da ogni convenzione. E poi, cosa da non trascurare, l’ispirava a scrivere e leggere il più possibile.

compagni

I suoi rapporti con la famiglia in Inghilterra erano pessimi. Il suo stato di salute disastroso. La seconda moglie, che viveva con lui, Mary (quella di Frankenstein) era depressa e stanca. In Italia aveva perso due figli e la speranza di vivere in modo normale con quell’uomo così estroverso e instabile. Di lui,  però, non poteva fare a meno. Con Shelley viveva anche Percy Florence, il figlio, Claire Clairmont, la sorellastra di Mary, sua amante, Edward Williams, poeta, con la moglie Jane,  anche lei  sua amante e John Trelawny, altro poeta, amico intimo di Percy e  Byron.

          Percy Bysshe Shelley

vita in comune

La vita nella casa era estranea ad ogni regola e convenzione. Praticamente era una comune hippy ante litteram. Gli abitanti vivevano nell’utopia più esagerata. L’esatto opposto dei santerenzini. In casa vigeva una promiscuità scandalosa, cui nessuno sembrava fare caso. Si  praticava il nudismo e il vegetarianismo. Si esibivano e si sprecavano ricchezze senza un battito di ciglia. Di fatto si stava senza mobili e tutti dormivano su pagliericci prestati dalla gente del posto. Come  ogni comune che si rispetti, casa Magni era anche un gran via vai di persone. Gente d’ogni tipo andava e veniva  in continuazione, senza nessun tipo di ordine o di preavviso.

l’amore di Shelley per l’acqua

Il rapporto di Shelley con l’acqua era teratogeno e terapeutico. Da una parte era attratto dall’ignoto e dall’imponderabile. Dall’altra bagnarsi controllava la sua angoscia, insieme al laudano (soluzione di oppio e alcool, molto in voga all’epoca) che consumava a fiumi insieme ai suoi amici.  Ma poiché non aveva mai imparato a nuotare, il piacere che traeva dall’acqua non andava molto oltre lo stare in superfice, o lasciarsi portare sul fondo, immaginando il punto di non ritorno. Il suo rapporto con l’acqua era un gioco con la morte, un rapporto quasi erotico con l’elemento. Quell’attrattiva gli impediva di star lontano dall’acqua. Si dice che di giorno buttasse la testa più volte dentro una bacinella d’acqua fredda e che facesse il bagno in qualsiasi luogo: laghi, fiumi, vasche, pozze…. Quello per l’acqua era un vero culto. Una roba pagana. Amava Narciso e Ermafrodito perché alludevano al potere estenuante e seducente della sua acqua. E poi, quando si bagnava,  leggeva. Per esempio Erodoto. Oppure declamava. A villa Magni nuotava tutti i giorni insieme alla gente del posto: uomini, donne e bambini che la sera entravano in mare per ” sguazzare come anatre selvagge“. In mezzo a loro stava lì, guardandoli incantato.

il grande enigma

Il mare lo inebriava. Una volta si presentò a pranzo completamente nudo e bagnato, con le alghe ancora impigliate nei capelli, scandalizzando la moglie. Un’altra remò lungo un fiume dentro una tinozza, finché il fondo non si staccò dall’intelaiatura. Ma non fece niente per tirarsi fuori. Un’altra volta si trovò in mezzo alla tempesta. Era sul lago di Ginevra, insieme a Byron. In pieno pericolo, chiese all’amico, che era un grande nuotatore, di non importunarlo e di lasciarlo andare. La barca era praticamente piena d’acqua. “Sciogliere il grande enigma”. Questo  pensava ogni volta che scendeva in acqua. Aspettava il suo grande appuntamento.

l’appuntamento

L’appuntamento sarebbe arrivato l’8 luglio del 1822. Il 1º luglio, con l’amico Williams, era salpato da Lerici con la sua fiamma, la “Don Juan”, una splendida imbarcazione appena costruita a Genova per lui. La destinazione era Livorno, dove avrebbe incontrato Leigh Hunt, un altro poeta inglese con cui condivideva la  passione per l’acqua. Scopo? Fondare una nuova rivista.

ritorno tragico

Dopo l’incontro, con Edward Williams e Charles Vivian, il suo marinaio, Percy Shelley prese il largo per tornare. Era l’otto e il tempo peggiorava. In poche ore il Don Juan e il suo equipaggio si trovarono in mezzo alla tempesta.  Le onde erano terribili. Nessuno dei tre era abbastanza capace da cavarsela in un mare di quel genere.

morte di Shelley

Shelley annegò al largo di Viareggio, insieme alla sua barca, con un libro di Sofocle in mano. A Villa Magni arrivò una lettera di Hunt per lui, datata 8 luglio, che chiedeva come fosse riuscito a tornare. Mary e Jane che la lessero, partirono immediatamente per trovare i mariti. Ma tutto era compiuto. Il Don Juan era affondato, insieme ai loro cari. Però non si era capovolto.

leggende

Naturalmente sorsero leggende intorno alla tragedia. Un attacco di pirati, la volontà di morire in mare, una sfida insensata col destino. Dieci giorni dopo la partenza delle donne il mare restituì i corpi. Quello malamente decomposto di Shelley fu identificato da Trelawny, grazie ai vestiti e ad una copia della Lamia* di Keats in una tasca della giacca. Fu lavato sulla spiaggia, in un luogo nei pressi di Viareggio.

fine

Il 16 agosto Trelawny, Byron e Hunt cremarono l’amico. Le ceneri furono portate nel cimitero protestante di Roma. Tra gli esclusi dalla società.

 

* Lamia per la mitologia greca è un demone malvagio. Secondo la leggenda sarebbe stata in origine una fanciulla libica amata da Zeus. La solita Era, per gelosia, le aveva ucciso i figli e Lamia impazzita dal dolore, aveva giurato di vendicarsi.  Così era finita a vivere nei boschi o nei crepacci e resa deforme dall’orrore, metà donna e metà serpente, vagava nell’eterno tentativo di uccidere i figli degli altri.  Lamia seduceva anche gli uomini, nascondendo la sua forma rettile. Li seduceva e poi li uccideva, per sedare il suo rancore. 

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