Una donna per coach – Tanya Vannini: “Noi donne dobbiamo guadagnarci quella credibilità che spesso agli uomini viene riconosciuta a prescindere”

È sicuramente un lavoro più frequentemente declinato al maschile, ma ogni tanto capita di vedere anche una donna con il cronometro in mano a bordo vasca. Non solo: capita di vedere che questo lavoro lo svolga pure bene! Anche se in percentuale minore rispetto agli uomini, donne allenatrici nel mondo del nuoto ce ne sono. Mettono passione e competenza in quello che fanno, e a volte i risultati sono davvero notevoli.

Noi di Nuoto•com siamo voluti andare alla scoperta di alcune di loro, per capire cosa significhi essere un’allenatrice e quali sono le peculiarità di questo ruolo vissuto al femminile.

Tanya Vannini, un nome che sicuramente catturerà l’attenzione di molti: è stata nuotatrice  di alto livello, stileliberista specializzata nelle distanze dei 200, 400 e 800; moglie di Giorgio Lamberti, mamma di Matteo, Michele e Noemi. Allenatrice. Per stessa ammissione del marito, c’è lei dietro ai successi natatori dei figli: ricordiamo l’ultimo campionato Europeo di vasca corta svoltosi a Kazan, dove il secondogenito Michele ha dato un vero e proprio spettacolo. Tanya è una persona riservata, che non ama stare sotto i riflettori, ma assolutamente innamorata del suo lavoro.

Sei stata un’atleta, ma questo non significa che quando si appende il costume al chiodo si passi automaticamente al bordo vasca. Come è maturata la tua scelta di diventare allenatrice?

Quando ho smesso di nuotare ho cominciato a lavorare come istruttrice nella scuola nuoto: neonatale, prescolare, bambini e ragazzi, adulti. Ho iniziato nell’impianto di Borgo San Lorenzo, dove sono stata affiancata dal direttore sportivo. Pur essendo stata un’atleta, non significava che avessi le capacità per trasferire agli altri. Pur conoscendo molte cose del nuoto, non era così facile cominciare dall’inizio, per esempio dal galleggiamento. Sono stata seguita e accompagnata in questo percorso e mi ha insegnato quelle che erano le basi di questo lavoro. È stato uno scambio reciproco, poiché io sono riuscita a trasferire a lui quelle che erano le peculiarità del nuoto agonistico. Ho trascorso quattro anni lì, fino a settembre 1996, e in quel periodo passavo più tempo in piscina che a casa: facevo l’istruttrice e l’assistente bagnanti, però porto con me il ricordo di un ambiente molto bello, dove mi sono divertita e appassionata a questo lavoro. Amo insegnare, soprattutto ai bambini più piccoli, quelli in età prescolare.

Fare l’allenatrice è stata una cosa che è arrivata dopo, un po’ spinta anche da mio marito Giorgio. Quando mi sono trasferita a Brescia, c’era l’opportunità di allenare alla Leonessa Nuoto. Inizialmente ero molto titubante, amavo l’insegnamento e non mi vedevo nei panni della coach. Ma Giorgio aveva insistito così tanto che mi sono fatta coinvolgere da questa avventura. Sono stati gli anni in cui ho seguito Elena Donati: era reduce da un importante infortunio, voleva cambiare allenatore, e così ho cominciato. Ho interrotto forzatamente quando aspettavo Matteo perché ho dovuto fare alcuni mesi a letto a causa di un possibile distacco di placenta, così, da quel momento, mi sono dedicata al lavoro più bello e più impegnativo del mondo: fare la mamma.

Quando Noemi, la terzogenita, aveva iniziato a frequentare la piscina di Travagliato, anch’io avevo ripreso con l’insegnamento nella Scuola Nuoto. L’allenatore che all’epoca seguiva l’agonismo mi chiese se potevo dargli una mano con gli esordienti, perché era una categoria con cui lui era un po’ in difficolta. Accettai, dicendogli però che non riuscivo a presenziare alle gare. Dopo pochi mesi se ne andò. E così mi ritrovai con tutti gli atleti, perché mai li avrei lasciati per strada. E da quel momento non ho più smesso: con Giorgio abbiamo creato la G.A.M. Team Brescia e siamo andati avanti.

Questo lavoro viene spesso identificato come un lavoro prevalentemente maschile. Come donna, hai avuto difficoltà a portare avanti questa scelta?

Un pochino sì. Già dai primi anni mi dovevo scontrare con questa cosa: noi donne dobbiamo guadagnarci quella credibilità che spesso agli uomini viene riconosciuta a prescindere. Inoltre, per me c’era un aggravante: oltre che allenatrice ero anche la moglie di Giorgio Lamberti, il primatista mondiale, l’atleta che aveva segnato la storia del nuoto italiano. Spesso le persone pensavano che rivestissi questo ruolo perché ero sua moglie, non perché ero perfettamente in grado di fare il mio lavoro. Per fortuna, a mano a mano che mi conoscevano, che vedevano il mio modo di lavorare, di relazionarmi con i ragazzi, gli stessi risultati sportivi, l’atteggiamento cambiava. Paradossalmente ora i ragazzi hanno più soggezione di me che di altri allenatori con cui collaboro. Però è stata una strada in salita. 

Che consiglio ti senti di dare alle donne che vorrebbero fare questo lavoro?

Di approcciarsi con molta serenità. I dubbi ci sono sempre, anche io ne ho molti. Ma non dipende dal fatto che si è donne, dipende dal fatto che ci si mette in discussione e si cerca sempre di fare del proprio meglio. Non farsi intimorire dai ruoli maschili, siamo sicuramente diverse ma non per questo meno capaci. Io sono una persona abbastanza riservata, parlare a una platea non è sicuramente il mio forte, preferisco lo faccia Giorgio. Ma a bordo vasca faccio il mio, facendomi rispettare e ascoltare, trasmettendo loro quello che deve essere appreso. 

Come tutti i lavori, essere donna ha dei vantaggi e degli svantaggi. Quali sono gli uni e gli altri nell’essere un’allenatrice?

Abbiamo una sensibilità che un uomo sicuramente non possiede. Siamo facilitanti nella relazione, soprattutto con le ragazze: è più difficile, per esempio, esporre ad un allenatore maschio le problematiche relative al ciclo mestruale. Di fronte a una donna questo è più facile e noi siamo perfettamente in grado di capirle e di aiutarle. Se poi si è anche mamma, il vantaggio aumenta ancora. Perché riesci a capire meglio i ragazzi, a leggere i loro disagi o le loro gioie, a prevenire alcuni problemi prima ancora che si manifestino. Riesci a relazionarti meglio con loro e hai un approccio che, difficilmente se non hai figli, ti appartiene. Inoltre, noi siamo molto più pazienti rispetto a un uomo. 

Lo svantaggio che ho notato in questi anni è che gli atleti maschi grandi molto spesso ti sottovalutano, sono portati a non fidarsi di te perché donna e quindi ci si ritrova a doversi guadagnare rispetto e fiducia. E non sempre è facile, il rapporto atleta-allenatrice diventa molto più difficoltoso.

Vista la tua esperienza e in qualità di donna, quali ritieni siano le caratteristiche più importanti, dalle quali non si può prescindere, per fare questo lavoro?

La passione. Senza ombra di dubbio. La passione è ciò che ti permetterà di fare questo lavoro sempre al meglio: se c’è passione sopporti meglio il sacrificio, perché questo lavoro ne prevede parecchio. Se c’è la passione riesci a stare sempre sul pezzo, perché fare l’allenatore non è semplicemente prendere i tempi, quella è una cosa che può fare chiunque abbia un minimo di dimestichezza con un cronometro. Soprattutto con i bambini, che devono essere seguiti scrupolosamente, guidati, corretti, per poi poter avere un atleta di alto livello. Queste sono le cose difficili, ma la passione ti porta ad affrontare tutto questo. E non vale solo per gli allenatori, vale anche per gli istruttori. 

Sei riuscita a coniugare lavoro e famiglia, e i tuoi figli nuotano con risultati a dir poco importanti. Come vivi tutto questo?

Non è stato assolutamente facile riuscire a conciliare tutto. Ora forse comincio a raccogliere qualche frutto di tutto questo lavoro. Non ho mai avuto la domenica libera per la mia famiglia, c’erano le gare. Se è per questo non ce l’avevo neanche per me, per riposarmi. Quando andavano alle scuole superiori dovevo organizzarmi in tutto e per tutto perché fossero pronti i pasti perché poi io dovevo andare in piscina, i ragazzi andavano comunque seguiti. Poi le cose non vanno sempre lisce come invece si vorrebbe. Non è stato facile; non impossibile, ma sicuramente per nulla semplice. Loro sono sempre stati la mia priorità, come lo ero io per i miei genitori. Credo che sia comunque una situazione comune a tanti. La passione per il tuo lavoro e l’amore per la tua famiglia ti fa affrontare tutto questo. 

Ph. ©Tanya Vannini

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