Deontologia canaglia (L’Espresso vs Federica Pellegrini)

Che la testata di punta del principale gruppo editoriale italiano spari a palle incatenate contro Federica Pellegrini è di per sé una notizia che non possiamo ignorare, specie per i toni utilizzati dagli autori del pezzo L’oro di Fede è a Cipro, pubblicato sul numero attualmente in edicola de L’Espresso.

L’inchiesta non rivela dettagli sconvolgenti: il settimanale romano ci informa che la sede legale delle società alle quali fanno capo i team europei della International swimming league ha sede a Cipro e che per pianificare lo sbarco della Lega in Italia il magnate proprietario della stessa Konstantin Grigorishin si è appoggiato al gruppo DAO SpA, agenzia che cura l’immagine dei principali nuotatori azzurri.

Ora, sul progetto ISL si possono avere tutte le riserve del caso, ma che un imprenditore privato localizzi le proprie attività in un contesto fiscalmente favorevole, in un paese che dal 2004 fa parte dell’Unione Europea, e che per lanciare un progetto in un determinato settore si rivolga ai migliori specialisti di quel settore è circostanza talmente banale che di per sé non giustificherebbe certamente un’inchiesta. Ma il settore è il nuoto e la specialista è Federica Pellegrini, che per un mix irripetibile di talento sportivo, prestanza fisica, forza caratteriale attira l’attenzione come nessuno.

Parlare e scrivere di Federica Pellegrini significa raccogliere grappoli di visualizzazioni e like con il minimo sforzo. Ma a parlarne bene si rischia di essere banali, parlarne male attira già più attenzione, parlarne malissimo crea il caso.

Ecco allora che l’Espresso posa il fioretto e imbraccia la clava, maltrattando Pellegrini, il suo entourage e chiunque abbia per qualsiasi motivo a che fare con lei. Nessuna accusa precisa, solo illazioni e informazioni poco o punto rilevanti e un fotomontaggio tipo poster di Diabolik che servono a dare l’impressione di una Federica al centro di una rete di nefandezze: il trogolo ideale per far banchettare i maiali da social, che non leggono l’articolo, se lo leggono non lo comprendono ma ai quali non pare vero di avere una buona scusa per sfoderare il peggio del proprio immaginario misogino.

Contenti loro.

 

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