Una donna per coach – Laura Spinadin: “Il giorno in cui non mi emozionerò più, sarà il giorno che ho finito di allenare.“ 

Un percorso cominciato con Tanya Vannini, seguito da Sandra Michelini. Oggi tocca a Laura Spinadin, capo allenatore della Nottoli Nuoto 74 a Vittorio Veneto, in provincia di Treviso.

Anche Laura ha contribuito in maniera importante alla crescita del movimento: dapprima come atleta e successivamente come allenatrice. Per citare nomi probabilmente noti a tutti, è stata l’allenatrice di Francesca Segat, con la quale si è fatta notare per essere la prima allenatrice a portare un atleta donna alle Olimpiadi, di Mattia Zuin, atleta delle Fiamme Oro e della Nazionale Assoluta,  di Margherita Ganz e Erica Donadon, tutti atleti in Nazionale Assoluta.

 

Come è maturata la scelta di diventare allenatrice? Nonostante il tuo trascorso da atleta, non è un passaggio scontato. 

Devo dire che non c’è molto di poetico nella mia scelta di diventare allenatrice. Dopo aver fatto l’ultimo anno da atleta a Bologna sono tornata a casa, era settembre del 1990. Mentre nuotavo lì mi ero iscritta all’università, ma non riuscivo a conciliare allenamenti e studio. Dopo una serie di amarezze agonistiche ho deciso di smettere. Ho trovato lavoro come assistente alla poltrona presso uno studio dentistico e ho lavorato lì per sei mesi circa. Poi la Nottoli Nuoto 74, insieme al mio storico allenatore Roberto Bettin, mi ha contattata per andare a lavorare in piscina. Accettai! All’inizio non lavoravo solo come allenatrice, rivestivo anche mille altri ruoli. Non ho ricordi particolari di quel periodo lavorativo, perché stavo facendo esperienza in vasca a 360°, quella che comunemente viene definita “gavetta”.

Peccato però che da qui non mi sono più spostata, non ho mai più lasciato.

Inizialmente affiancavo Bettin negli allenamenti, lui era stato il mio allenatore e prima di lui ero seguita da Bane Dinic. Sono state due figure importanti per me anche se, nel diventare allenatrice non ho seguito nessuno dei due esempi: ho creato il mio modo di essere allenatrice. Sono partita dalla scuola nuoto per bambini e per adulti, poi responsabile dei gruppi speciali e la propaganda, seguivo il reclutamento degli atleti. Piano piano facevo esperienza. Quando Bettin ha lasciato la Nottoli è stato sostituito da Paolo Cacace, un allenatore di Napoli che è stato in società con noi per un breve periodo. Non è stata una esperienza di spessore perché il mio lavoro si limitava a fare la cronometrista. Non venivo resa partecipe della programmazione, non davo il mio contribuito: ero una mera esecutrice. Ma non sono una che getta la spugna tanto facilmente. Dal 1995 in poi mi è stato affidato il ruolo di prima allenatrice e mi è stata data carta bianca su tutto quello che riguardava la parte agonistica.

Da quel momento in poi quello è sempre stato il mio modo di operare: presente in tutto e per tutto, su tutto! Non mi sono mai limitata ad allenare e basta: ho sempre seguito i ragazzi a 360° nel loro percorso.

Seguire i ragazzi a 360° è sempre stata una caratteristica che ti ha contraddistinto, non solo tra i colleghi più vicini, ma anche a livello di dirigenza. 

Per me l’Atleta è tale ventiquattro ore su ventiquattro. Quando alcuni dei miei ragazzi erano in trasferta con la Nazionale Giovanile, oppure erano a fare un raduno, ho sempre trovato naturale interessarmi a come si comportavano, se stavano alle regole, se c’erano dei problemi o se tutto precedeva bene. Non sono Atleti solo durante l’allenamento o la gara, lo sono sempre. E questo scambio di informazioni, questi confronti con la dirigenza per me sono fondamentali per svolgere al meglio il mio lavoro. 

Per me è fondamentale trasmettere ai ragazzi anche dei valori che vanno fuori dalla vasca: regole per vivere insieme, il rispetto reciproco, il linguaggio consono all’ambiente e alle persone che si frequentano. Sono cose alle quali tengo molto e che a volte valgono di più delle grandi prestazioni. 

Non sono mai stata focalizzata sui riscontri cronometrici, quello dell’Atleta è un percorso molto più complesso. Ecco perché non mi sono mai limitata a far eseguire la seduta di allenamento e basta. In questi ultimi anni non è stato facile rivestire questo ruolo: le nuove generazioni sono molto cambiate e non nascondo di essermi sentita veramente in difficoltà, al punto da valutare di interrompere questa esperienza lavorativa. Non lo dico a cuor leggero, anzi. Ma se io non riesco a tirar fuori dai ragazzi quello che loro possono dare, sento di aver perso anch’io. Ed è una sensazione bruciante e dolorosa. Perché significa che io non riesco più a trasmettere quello che voglio. Io non pretendo che ci sia uno scambio paritario tra ciò che do e ciò che ricevo, ma è importante sapere che ciò che ricevo per me è abbastanza. In questo momento lo scambio è molto sbilanciato. 

Spesso parlando di allenatore si pensa a un uomo. Come donna, hai avuto difficoltà a portare avanti la tua scelta lavorativa?

Come donna no. Come mamma sì. Ho avuto la mia prima figlia a quasi trentacinque anni e ho dovuto lasciare i gruppi speciali. Ho fatto una scelta: quella di realizzarmi attraverso i miei figli. Questa è una cosa che mi differenzia: io non ho scelto di realizzarmi attraverso i figli degli altri,  mai attraverso i miei Atleti, ma sempre per valori personali. Questa realizzazione come mamma-allenatrice è stata anche merito  del mio compagno, Luca Zanin, che mi ha sempre supportato. Oltre a essere qualificato, Luca è allenatore nel cuore, arriva da dove arrivo io e mi supporta in tutto e per tutto. Sostiene i miei tempi e i miei ritmi con gli Atleti. 

Ho la qualifica di docente regionale, cosa però che non ho mai sfruttato. E un pò mi dispiace perché ritengo di essere brava a motivare e a trasferire agli altri. È un pò un sassolino che ho nella scarpa. Il fatto di riuscire a relazionarmi bene con i ragazzi mi ha sempre contraddistinto, quando parlavo con loro non fiatavano, mi ascoltavano attentamente. Non posso dire che oggi avvenga la stessa cosa: mi interrompono, sghignazzano, si distraggono. Ed è disarmante. 

Allenare ti vincola, in termini di tempo ed economicamente: e questo è un vincolo non tanto da donna, ma da mamma. La donna, a mio modo di vedere, è tale e quale all’uomo. Semplicemente è molto più impegnata. Fino a quando non sono diventata mamma per me non c’era alcuna differenza a essere un uomo o una donna a fare questo lavoro. Diventare madre ha sicuramente posto dei limiti alla mia carriera, ma mi ha dato un valore aggiunto immenso come allenatrice dei miei figli. 

Anche questo sicuramente ha dei pro e dei contro. Perché allenare i figli non è una cosa facile. Non c’entra il riscontro cronometrico: è il fatto di riuscire a scindere i ruoli che è molto difficile. La mia svolta lavorativa è avvenuta il 6 ottobre 2005, quando è nata mia figlia Aurora. Anche le mie ex Atlete, con le quali ho mantenuto bellissimi rapporti me lo confermano, mi dicono che mi sono addolcita. Onestamente non so se mi sono addolcita perché mamma o perché empatica. Un bravo allenatore deve anche sapersi adattare a chi ha davanti. Forse è più difficile quello che programmare le sedute di allenamento. Quelle arrivano di conseguenza. Il mondo è cambiato, sarei sciocca a non tenerne conto. 

Quali sono, secondo te, i vantaggi e quali gli svantaggi nell’essere un’allenatrice?

Credo che il disagio sia più degli altri, ma non mio. E penso inoltre che questo sia tipico di ogni realtà lavorativa. Personalmente ho avvertito lo svantaggio di essere donna con gli Atleti maschi, soprattutto con gli adolescenti maschi: l’idea di essere guidati da una donna era una cosa che un pò rifiutavano.

O sono degli atleti maschi molto forti mentalmente e quindi vanno oltre, oppure fanno fatica ad accettare la presenza femminile a bordo vasca. Per esempio con Mattia Zuin non ho mai avuto problemi, lui era un gran lavoratore e sapeva bene dove voleva arrivare. Nonostante siamo nel 2022  purtroppo, ci sono ancora stereotipi come questo che ci guidano, ma non è una difficoltà che sento io. 

Il rovescio della medaglia lo riscontro con il settore femminile perché vicina a quello che accade al loro corpo e utile perchè le puoi aiutare anche da un punto di vista pratico.

Però non credo che questo dipenda dal fatto che sono donna, dipende dal fatto che sono Laura Spinadin. Se un Atleta parla e si confida con me, non credo lo faccia perché io posso capire e un collega maschio no. Lo fa perché Laura ascolta e comprende.

Che consiglio ti senti di dare alle donne che vorrebbero fare questo lavoro?

Ad essere sincera, di fronte a questa domanda ho subito pensato “E a un uomo? Che consiglio dovrei dare a un uomo… è la stessa cosa!” (e scoppia a ridere!). Credo che quello che ho appena detto valga per una donna e anche per un uomo. Entrambi si devono emozionare facendo questo lavoro, devono sentirsi vivi, avere voglia al mattino di alzarsi e andare in vasca, andare in piscina la domenica e non porsi il problema se ci si ferma mezz’ora in più. Perché è per il bene dei ragazzi. E questo ultimamente lo vedo sempre meno: c’è la fretta di mandarli fuori, c’è l’attenzione alla mascherina più che al volto che c’è sotto. 

Bisogna amare i ragazzi e metterli al centro delle scelte. Pensare sempre al loro bene. Credo che per fare bene questo lavoro sia indispensabile avere tanta passione e tanto amore da dare e da trasmettere. Devi sentire l’adrenalina insieme a loro, devi vedere la luce nei loro occhi. Solo così capisci che stai facendo bene il tuo lavoro. Il cronometro non lo si deve guardare nemmeno, quello è solo uno degli aspetti e neanche il più importante. Se loro stanno bene quando sono con te, significa che sei sulla strada giusta. 

E poi consiglio di non adattarsi mai a quello che viene chiesto, altrimenti passerai la vita a soffrire. Bisogna avere fantasia, osare, uscire dagli schemi a volte. Serve passione dentro, se  è troppo poca allora non affrontare il bordo vasca.

Oggi i ragazzi hanno una fiammella piccola dentro di loro, per tutta una serie di ragioni, non cerco colpe e colpevoli. Ma so che il mio compito è tirare fuori quella fiammella e farla crescere, perché diventi un fuoco grande.

Il giorno in cui non mi commuoverò più, non sgriderò più i miei Atleti e non mi complimenterò con loro, sarà il giorno che ho finito di allenare. 

 

UNA DONNA PER COACH

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