Lavoro sportivo, cambia tutto per non cambiare (quasi) niente: la no tax area scende da 10 a 5mila euro

Dario Simeoli, vice capo di gabinetto del ministero del Lavoro che con lo staff della sottosegretaria allo sport Valentina Vezzali, ha lavorato al cosiddetto decreto “correttivo” della riforma di Vincenzo Spadafora, intervenendo al convegno “Lo sport muove l’Italia” organizzato proprio dall’ex ministro ha rilasciato alcune interessanti anticipazioni.

Confermata l’entrata in vigore della riforma il 1°gennaio 2023, Simeoli ha dichiarato che saranno previste tre fasce di compensi:

  • Da zero a 5000 euro l’anno non si pagheranno né contributi previdenziali né tasse: si riduce quindi la no tax area attualmente fissata a 10mila euro. Questo scaglione comprenderebbe i tre quarti degli oltre 208mila lavoratori sportivi censiti durante la pandemia
  • Dai 5mila ai 15mila euro si pagheranno solo i contributi, ma non le tasse
  • Oltre 15 mila euro l’anno, tasse e contributi

In attesa di maggiori dettagli, sembra una soluzione piuttosto gattopardesca che lungi dal favorire una stabilizzazione di massa potrebbe rendere ancora più precaria la situazione dei tecnici, con associazioni e società sportive incentivate a suddividere il lavoro fra un numero maggiore di collaboratori.

Non sembra quindi che l’esecutivo sia realmente intenzionato a sciogliere il nodo del lavoro sportivo, per evitare le inevitabili compensazioni a vantaggio dei datori di lavoro che si renderebbero necessarie per mantenere in equilibrio un sistema già duramente provato dalla pandemia prima e dal caro bollette poi. Un’autentica doccia fredda per istruttori e allenatori che guardavano al 2023 come all’anno della Grande Regolarizzazione.

A riprova di una scala di priorità quantomeno singolare,  è stato successivamente annunciato il rinvio al 2025 delle norme (meglio, dell’abolizione) sul vincolo sportivo “per consentire alle società sportive di prendere le misure alle nuove norme”.

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