Antonio Satta: “Per me allenare è un’arte – Devo essere vero, devo essere me stesso.”

C’è chi fa l’allenatore e c’è invece chi è allenatore.

Antonio Satta (Centro Nuoto Torino) sicuramente fa parte della seconda categoria. E proprio per questo motivo abbiamo voluto intervistarlo per farci raccontare come vive il suo essere allenatore e cosa lo caratterizza.

Per me allenare è un’arte. Tutto ciò che noi facciamo non è poi così controllabile, i paletti scientifici che ci ritroviamo non garantiscono mai che se facciamo una determinata cosa otterremo esattamente quel risultato. C’è sicuramente un base da cui partire, ma poi bisogna adattarla ad ogni singolo atleta. Le variabili sono troppe. Non ho mai avuto l’illusione che attraverso la mia programmazione sarei riuscito a veicolare un risultato; è una cosa che ho sempre pensato e anche se non la esternavo verbalmente, il mio modo di fare lo dimostrava. 

Ho iniziato ad allenare intorno al 2000 e, come molti miei colleghi, ho fatto la gavetta. Ho allenato di tutto: esordienti, ragazzi, master. E già allora questo era un pensiero che mi caratterizzava. Mi sono sempre basato poco sulla programmazione, per me è solo un canovaccio, e mi sono sempre basato sul quotidiano. Ho bisogno di arrivare in piscina, vedere i ragazzi, guardare la situazione, osservare, per capire poi cosa è bene fare. Abbiamo iniziato la stagione il 6 settembre, sicuramente un pò in ritardo rispetto ad altre realtà, ma io credo molto nel valore del riposo. Nel giro di poco tempo i ragazzi erano già a pieno regime e cominciavano a nuotare i loro personali.

Ho ben chiaro da dove devo partire e dove voglio arrivare. Ma in mezzo può esserci di tutto. Per me è impensabile stendere una programmazione ad agosto e decidere che allenamento ci sarà in un determinato giorno a ottobre. Non credo abbia molto senso fare un lavoro di questo tipo perché da agosto a ottobre può accadere qualunque cosa.

Il mio lavoro si basa sul rapporto più stretto possibile con l’atleta, anzi, con la persona. Cerco di conoscere i ragazzi, di anticipare le problematiche che si possono presentare, di entrare in sintonia. Quando questi elementi ci sono, di solito i risultati non tardano ad arrivare. 

Questo è fondamentalmente il mio metodo. Ma non è stato costruito: è ciò che mi viene spontaneo, questo è ciò che funziona per me. E i risultati mi confortano in questo. Proprio parlando di risultati, potremmo aprire una parentesi: non sto parlando di medaglie. I risultati per un tecnico, a mio parere, dipendono dal numero di persone a cui tu arrivi. È normale andare maggiormente d’accordo con qualcuno e di meno con qualcun altro, ma se i ragazzi che riesci a coinvolgere sono tanti, per me questo è il primo dei risultati per un tecnico.

Ci troviamo davanti a delle persone diverse, con le quali è necessario avere approcci diversi. Nei limiti del possibile, cerco di avere un rapporto uno a uno con ogni atleta. Difficile? Sicuramente! Ma ne vale la pena. Questo si riflette in maniera incredibilmente positiva anche a livello di gruppo. Se il mio lavoro si dovesse ridurre a elencare le serie e prendere i tempi, non lo farei più. Devo essere vero, devo essere me stesso. Questo da l’opportunità all’atleta di essere sé stesso. Devo sentirmi libero di dire ogni volta la verità ai ragazzi: congratularmi quando è il momento, essere duro quando serve. Non mi riesce molto bene l’essere duro, lo sono stato in passato, probabilmente perché l’ho visto fare, ma è una modalità che non mi appartiene. Non credo al luogo comune di dover essere un esempio, io credo al fatto di dover essere vero. Ovviamente sono consapevole di essere colui che ha le redini in mano, ma non guido attraverso l’autorità, bensì attraverso la verità. L’atleta capisce se stai dando anima e corpo in quello che fai, e lui solitamente fa lo stesso. 

Paradossalmente non sono uno che ama la  competizione, cerco di renderla il più sana possibile. Sono focalizzato sulla crescita del singolo: un atleta che partecipa ai regionali e migliora sé stesso è al pari di un atleta che partecipa alle Olimpiadi e migliora sé stesso. Da un punto di vista umano per me non cambia nulla, cambia sicuramente l’eco del risultato, ma dentro di me è uguale. Credo che un allenatore debba aiutare l’atleta a migliorarsi e a raggiungere ciò che desidera, qualunque sia il livello. Non cerco il risultato di vertice a ogni costo; è arrivato e in quel momento me lo sono gustato, a volte è anche pesato. Ma non è il fattore scatenante che mi fa andare in piscina tutti i giorni. 

Un’altra cosa che per me è fondamentale è il gruppo di lavoro: ho due colleghi che per me sono riferimenti essenziali: Marco Fognini e Paolo Ruscello. Non le reputo persone che dipendono dal sottoscritto, per me siamo dei pari. E tutto parte da lì: noi prima di tutto siamo amici. Questo gli atleti lo percepiscono e ne beneficiano. Anche in questo noi siamo veri. In uno sport individuale come il nuoto i risultati sono frutto di un lavoro di squadra. Noi partiamo come squadra già a livello di staff. Per fare un esempio pratico: quando sono alle competizioni internazionali e quindi sono lontano da casa, non ho mai mandato un allenamento ai mei colleghi. Come posso io, che mi baso tantissimo sul quotidiano, avere un’idea di cosa sta accadendo a casa se sono dall’altra parte del mondo? Chi è in vasca in quel momento ha il polso della situazione e sa come stanno i ragazzi e cosa è utile per loro. Certo, ci confrontiamo. Ma l’ultima parola non spetta di certo a me. Sono consapevole che altri colleghi fanno in maniera diversa e non mi permetto di giudicare. Semplicemente io lavoro così. 

Antonio Satta, Massimiliano Rosolino
Swimming, Nuoto
International Alpha Cup 2023
I Edizione – Milano
14/05/2023
Aquamore Bocconi
Photo © Giorgio Scala / DBM – Deepbluemedia / Insidefoto

 

Se dovessi raccontarti attraverso i tuoi ragazzi? Quando l’atleta si afferma in un panorama internazionale le dinamiche non sempre possono essere così lineari e tener fede al proprio pensiero a volte diventa difficile.

Per me il concetto rimane lo stesso: a prescindere da quanto tu sei in alto.

Se prendiamo per esempio Benedetta Pilato, ho dichiarato fin da subito che nei primi mesi non mi interessava minimamente l’aspetto cronometrico o l’aspetto metabolico. Per me era fondamentale che lei fosse serena e si ambientasse bene a Torino. Se questo non accadeva, potevo inventarmi qualunque programmazione: sarebbe stata inefficace. Le cose poi sono andate bene e anche in maniera più rapida di quanto ci aspettassimo. Sembrava che Torino fosse casa sua da sempre, è stato un inizio di stagione davvero bello. Grazie a questo abbiamo potuto anticipare le cose e iniziare a lavorare in maniera subito mirata. Se questo non fosse accaduto, non mi sarei preoccupato e molto semplicemente l’avrei aspettata. Le avrei lasciato tutto il tempo di cui aveva bisogno per poter stare bene; senza la sua serenità, senza questa base, non si poteva fare nulla e ogni lavoro proposto era vano.

Mi piace guardare le interviste che rilasciano i ragazzi: li osservo, li guardo, li ascolto. Sono uno strumento molto utile per capire il loro livello di maturità, se hanno fatto un gradino di crescita, se sono in difficoltà. E ti permettono di capire quanto i risultati possono essere lontani oppure alla portata. Benedetta ovviamente già la conoscevo; seguendola in acqua mi sono reso conto che aveva fatto un cambio nel momento in cui lei si era sentita pronta. Si percepisce che vuole essere protagonista delle sue scelte e che vuole andare avanti. Sono premesse indispensabili per poter iniziare a lavorare in un certo modo e con certi obiettivi. Noi abbiamo una grossa esperienza di atleti che arrivano da fuori, che si traferiscono per frequentare l’università e di problemi legati a questo cambio di vita ne abbiamo visti molti e abbiamo capito che ogni ragazzo reagisce in maniera diversa. Dobbiamo rispettare le tempistiche di ognuno. I ragazzi, e così è stato anche per Benedetta, sanno che noi ci siamo, che possono contare su di noi anche se sono distanti dalla famiglia, che non invaderemo i loro spazi, ma che in noi possono trovare un porto sicuro. 

Tecnicamente è sembrata molto più distesa in acqua, scivolava di più, gomiti meno alti e soprattutto non aggrediva l’acqua ma sembrava che la dominasse senza doverci mettere rabbia. 

Sono d’accordo. Il suo talento da qualche parte doveva uscire ed è emerso nei 50 rana, in un’età dove la gestione delle emozioni non è proprio semplice. Aveva una nuotata molto efficace anche prima di venire a Torino, ovviamente: non ti qualifichi per le Olimpiadi per caso. 

Quello di cui noi dobbiamo tenere conto è che, da un anno all’altro, l’atleta non è più la stessa persona. Io per primo non sono lo stesso di un anno fa e l’anno prossimo sarà diverso da oggi. Figuriamoci una ragazza di diciotto anni. Credo che Benedetta si stia affacciando a una nuova fase della sua carriera: nulla di ciò che è stato prima va rinnegato, assolutamente. Quello che ha fatto prima l’ha portata a Tokyo, quindi sfido chiunque a dire che non andava bene. Semplicemente ha iniziato a scrivere un nuovo capitolo del “suo” libro. 

Benedetta ha affrontato le cose come il suo bagaglio di esperienze le consentiva di fare: è da stupidi pensare che una ragazza di sedici anni possa avere gli strumenti per gestire alcune situazione complesse come una persona di trenta. Non sarebbe umano.

Esattamente. È sempre stata una ragazza molto matura, ma le esperienze ti formano e ti cambiano, e ti fanno andare avanti in maniera diversa. Molto semplicemente lei sta crescendo come persona, come atleta e quindi il suo percorso sportivo inevitabilmente beneficerà di tutto questo. Torniamo sempre sul discorso di saperli aspettare, di dare loro il tempo di cui hanno bisogno.

La gara dei 100 rana qui a Riccione per lei è stata una gara molto difficile. Da quando siamo partiti è sempre andato tutto bene, quasi da averne timore. La gara di Budapest ci aveva dato dei segnali molto positivi, ma il peso della qualifica olimpica Benedetta lo sentiva tutto. In Italia di raniste brave ce ne sono molte, e lei ne è perfettamente consapevole. Già durante il riscaldamento si vedeva che era molto tesa e mettere la firma sulla sua qualificazione per Parigi era fondamentale. Credo che da ora in avanti vedremo il suo meglio: qui a Riccione ha fatto una bella gara, ma so che non è il meglio che lei può dare. Penso che siamo all’inizio.

Benedetta Pilato of Gs Fiamme Oro competes in the 100m Breaststroke Women Heats during the italian winter swimming championships at Stadio del Nuoto in Riccione (Italy), November 29th, 2023.

 

Parlando di Alessandro Miressi?

Alessandro è un qualcosa di completamente diverso. Lui è quasi un figlio per me, come allenatore sono cresciuto insieme a lui e grazie anche a lui. Sono undici anni che stiamo in vasca insieme. Avevo avuto altre esperienze internazionali, ma con lui sono arrivate le Olimpiadi, i Mondiali, le medaglie e tutto il resto. Le mie convocazioni in nazionale sono arrivate grazie a lui, per questo dico che sono cresciuto con lui. Ovviamente tutto questo ha dei pro e dei contro: penso di conoscerlo come pochi altri, allo stesso tempo il rischio della monotonia è dietro l’angolo. Però credo che Alessandro abbia sempre capito il mio concetto di lealtà, non ho mai fatto quello che ho fatto per vanità, ma solo per il suo bene. Lui lo ha sempre saputo, sono sempre stato al suo fianco e non l’ho mai abbandonato nei momenti di difficoltà che ci possono essere in un percorso sportivo. Alessandro ha delle peculiarità caratteriali che devono essere prima di tutto comprese, e poi rispettate. Solo così lo si può aiutare a migliorarsi, di certo non snaturandolo. 

Alessandro quest’anno è molto focalizzato. È riuscito a ottenere una condizione fisica che prima faticava a trovare. Con lui bisogna mettere a frutto la capacità di sintesi, può sembrare più freddo rispetto ad altri atleti ma non lo è. Non posso pensare di applicare delle soluzioni standard per tutti gli atleti, ognuno va preso in modo diverso. Non è l’atleta che si deve adattare a me, bensì il contrario. Non voglio cambiare nessuno: bisogna prendere ognuno per quello che è e trovare la strategia giusta per tirare fuori il meglio. Essere genitore mi ha sicuramente aiutato in questo. 

Alessandro non nuota una gara qualsiasi: lui fa i 100 stile. Se prendiamo il suo curriculum sportivo, Alessandro non ha mai mancato a un appuntamento. Stiamo parlando però di una gara che il minimo errore compromette il risultato. Lui non ha un galleggiamento naturale come possono averlo altri nuotatori, e la sua struttura fisica è importante. Gestirla in acqua è molto difficile, il rischio di sbavature  che inficiano il risultato è elevatissimo. Ci sono stati dei momenti dove non è riuscito a dimostrarsi per quello che vale, ma c’è da dire che non ha mai mollato. È sempre tornato in acqua con l’obiettivo di andare avanti e migliorarsi. Probabilmente deve essere più metodico, ma questo è l’obiettivo. Il percorso per centrarlo lui lo ha già iniziato, e i salti di maturità io glieli vedo tutti. Credo poi, che nella 4×100 stile che abbiamo oggi in Italia, Alessandro abbia avuto un ruolo fondamentale. Lui è riuscito a convincere tutti i compagni che ce la potevano fare, e forse è la staffetta più vincente che abbiamo. L’errore più grande al quale assistiamo qui in Italia, è quello di dare per spacciato un atleta dopo un risultato non brillante. Si accusano i media di dare i messaggi sbagliati, a volte però il messaggio sbagliato arriva già dalle tribune.

Dovremmo semplicemente smetterla di cercare un colpevole e guardare avanti in un’ottica di miglioramento. 

MIRESSI Alessandro
100 M STILE LIBERO uomini
Swimming
Rome 24/6/2023
Stadio Del Nuoto Foro Italico
FIN 59 Trofeo Sette Colli 2023
Internazionali d’Italia
Photo / Deepbluemedia / Insidefoto
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