Stefano Morini lascia il bordo vasca… ma non il nuoto.
Dopo aver appreso la notizia, abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con il Moro, e di farci raccontare direttamente da lui questa svolta.
Non appendo il cronometro al chiodo, semplicemente continuerò a dare il mio contributo a questo movimento in altre vesti. È stata una scelta ponderata, sulla quale ho riflettuto molto, anche insieme alla mia famiglia, in particolare modo con mio figlio Tommaso. Continuerò a collaborare con la società Livorno Aquatics in ambito dirigenziale. Poi da cosa nasce cosa: non sono assolutamente a riposo, anzi, mi sento più i forma ora che trent’anni fa.
Qui a Livorno c’è la possibilità che la Federazione investa in un Centro Federale, e la mia disponibilità per contribuire a questo progetto c’è. Per la società sportiva e per la città sarebbe un valore importante.
Gli abbiamo chiesto quale fosse il ricordo più bello della sua carriera da allenatore, che sicuramente è stata notevole, sia da un punto di vista temporale che da un punto di vista qualitativo.
Sono contento perché se penso ai ricordi, ce ne sono davvero tanti. Il primo, tra i più belli, che mi viene in mente è la telefonata che ho ricevuto da Bubi Dennerlein nell’ ’85. Lui all’epoca era Direttore Tecnico della Nazionale, mi fece i complimenti per i risultati che stavo ottenendo con i miei atleti, in particolare con Ilaria Tocchini, e mi convocò alla mia prima manifestazione internazionale come tecnico, alla Coppa Europa che quell’anno si svolgeva in Svezia a Malmö. Il rapporto con lui era ottimo: grazie a lui sono potuto andare per due mesi negli Stati Uniti, a San Francisco, e quindi ho potuto osservare il metodo americano dal vivo, direttamente dal bordo vasca. In quel periodo c’erano ben otto medaglie dei Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984 che si allenavano: è stata un’esperienza formativa incredibile.
La mia carriera con Alberto Castagnetti è sicuramente un altro dei ricordi più belli che ho. Umanamente e sportivamente parlando.
Posso ritenermi davvero soddisfatto: da Seul 1988 non ho mancato un’Olimpiade, e non come spettatore o dirigente, ma come tecnico con gli atleti. Ho dei ricordi bellissimi legati a molti eventi internazionali e ad altrettanti atleti che ho avuto il piacere di seguire. E li ricordo tutti con affetto. Non li cito perché temo di dimenticarne qualcuno e non voglio, ma li porto nel cuore.
E non potevamo non chiedergli un pensiero per i giovani allenatori che si affacciano a questo lavoro, sicuramente appassionante, ma non privo di difficoltà.
Purtroppo quello dell’allenatore non è ancora un lavoro, o meglio, non è ancora riconosciuto come tale. Pertanto ci sono tutte le problematiche legate a degli aspetti economici che i giovani devono tenere in considerazione. Mi auguro che in tal senso ci possano essere delle svolte importanti.
Fare l’allenatore significa molte cose: anzitutto ti devi divertire, altrimenti non reggi i sacrifici che devi fare, perché sono tanti. La passione sta alla base di ciò che fai per fare bene, ma la passione è anche quella cosa che ti permette di andare avanti nei momenti di difficoltà: e un allenatore nel suo percorso, di difficoltà ne incontra molte.