Meat puppets

Ha fatto scalpore il ritiro della tennista Naomi Osaka dal Roland Garros, uno dei quattro tornei più prestigiosi al mondo. Scalpore per il personaggio: Osaka è una delle sportive più misurate e cortesi del circuito ATP; e scalpore per la motivazione: lo stress derivante dal confronto con i media, che le causa attacchi di ansia contribuendo ad aggravare la depressione della quale soffre dal 2018.

Si è scatenato l’inferno: dall’ultimo somaro da tastiera a testate giornalistiche di rilievo la campionessa giapponese è stata accusata di essere una ricca bambinona viziata che anziché ringraziare di stare dove sta fa i capricci per dieci minuti di conferenza stampa, e che sarà mai, signora mia dove andremo a finire. La shitstorm perfetta.

Ci sono alcune considerazioni da fare.

La prima: Osaka è donna, vincente, ricca (la sportiva più pagata al mondo, circa trentacinque milioni di euro l’anno secondo Forbes), orgogliosamente multietnica (figlia di una giapponese e un haitiano), in prima linea per la difesa dei diritti civili (agli Open USA dello scorso anno ha indossato prima di ogni incontro una mascherina nera con il nome di un afroamericano ucciso dalla polizia). Il catalizzatore ideale di quel liquame misogino, razzista, frustrato e livoroso sul quale galleggiano malamente le piattaforme social.

La seconda: non è bastato un anno e mezzo di pandemia per rendersi conto che il malessere psichico è una patologia grave e invalidante tanto quanto quello fisico. Persone che per diciotto mesi hanno lamentato lesioni insanabili della propria salute mentale a causa del divieto di spritz non riescono a empatizzare di una virgola verso una ragazza sottoposta a pressioni inimmaginabili.

La terza: lo sport professionistico è una mistificazione ipocrita e crudele. Le Naomi Osaka, i LeBron James, i Cristiano Ronaldo sono raccontati come gli eroi omerici del nostro tempo, portatori di Valori con la V maiuscola: Rispetto, Onestà, Impegno. E immagino che a vedersi così dipinti alla fine ci credano. Io me lo immagino Lewis Hamilton inquadrato in campo lungo mentre osserva un tramonto sul mare, musica eterea in sottofondo, con le parole delle sue interviste post gara che si sovrappongono a quelle di Martin Luther King al Lincoln Memorial mentre milioni di giovani in tutto il mondo si tengono per mano sospirando, ma la verità è che sono solo pupazzi di carne che vanno in scena per divertire il pubblico pagante. E quando il pubblico paga, pretende: non sono ammesse stecche o inciampi, non c’è spazio per il dolore a meno che non sia funzionale alla narrazione. Non Gandhi, ma Krusty il clown.

Champions get the razzberry; the crowd aches to see them get knocked off in order to bring them down to their own bowl of shit (Charles Bukowski)

Mi chiedo se ai nuotatori che anelano di diventare professionisti immaginando un futuro di lustrini paillettes e dollari queste considerazioni passino mai per la testa.

Ph. AndrewHenkelman – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=94068440

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