La tristezza degli Enhanced Games
Quando lo sport rinuncia ai suoi valori
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Gli Enhanced Games sono la scimmia dell’olimpismo. La brutta copia. La sua perversione. Eppure sono la perfetta conseguenza del capitalismo individualista in cui soffochiamo. Spettacolo, presunzione, immagine, niente domande. Nonostante questo, che potrebbe essere scontato, è una tristezza infinita leggere di atleti di prima grandezza che in nome del “metto a posto la famiglia”, rinunciano all’ideale che dovrebbero aver sperimentato, per scegliere il suo contrario. De Coubertin, il padre dell’olimpismo, sapeva che poteva finire così. Lo sapeva parecchio tempo prima che potesse accadere. Sapeva che da subito la questione era la questione dello scegliere. Lo diceva chiaramente nel Bollettino del Comitato Olimpico n.2 del 1896.
“Oggi come ieri la sua azione (dell’atletismo) sarà benevola o negativa secondo le finalità che saranno date e la direzione nella quale s’indirizzerà. L’atletismo può mettere in gioco le passioni più nobili come quelle più vili. Può sviluppare il disinteressamento e il sentimento dell’onore come l’amore del guadagno; può essere cavalleresco o corrotto, virile o bestiale; si può usare per consolidare la pace come per preparare la guerra” …
Il sogno di uno sport che ispira a nobiltà e prepari la pace e ancora capace di fare da antidoto alla disumanizzazione? È una domanda che dobbiamo porci. Il rischio è assistere con drammatica impotenza alla vittoria dell’ignoranza in cui vivono i popoli gli uni contro gli altri che “acutizza gli odi, aumenta i malintesi e precipita gli avvenimenti nel senso barbaro di una lotta senza mercede” (da De Coubertin, discorso di Atene 1894).
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