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Trudy Ederle: l’ultima delle ragazze del crawl

"Nuotavo per me, non per la gloria. Ma se ho aiutato altre donne a crederci, ne sono felice" – Gertrude Ederle."

La più popolare tra le ragazze dell’american crawl fu senz’altro Gertrude Ederle. In un certo senso fu anche l’ultima, perché con lei il crawl al femminile s’affermò definitivamente. Fu quella che spazzò via l’dea che le donne nel nuoto dovessero emanciparsi e che con l’impresa della Manica fece letteralmente impazzire il pubblico americano. Fu anche attrice in sei film sul nuoto: Olympic Mermaids, Neptune ‘s Nieces, Swim Girl Swim, Sports Immortals, Fifty Years Before Your Eyes e Haunts of the Black Masseur. Per lei, nel 1926, due grandi nomi della musica americana come Charles Tobias, l’uomo che inventò la sigla dei Looney Tunes e Al Sherman, l’autore delle musiche di Mary Poppins, scrissero “Trudy”, un fox trot spensierato, ispirato agli anni ruggenti. Diceva: " Trudy, ti vogliam sempre con noi. Trudy, quando sei qui, ci rallegri. Il tuo sorriso vale un milione di dollari…". La suonava nientemeno che l’orchestra jazz di Paul Whiteman, la stessa che nel 1924 eseguì per la prima volta la “Rapsodia in blue” di George Gershwin. Cent’anni dopo la sua epopea, fu ancora raccontata dalla Disney nel film “Young Woman and the Sea”.

Figlia d’immigrati

Nata a New York nel 1905, come spesso accadeva per i nuotatori, Gertrude era figlia d’immigrati. Forse è perché hanno la scorza più dura, o forse è il nuoto ad essere un formidabile strumento d’integrazione. Fatto sta che padre e madre venivano dalla Germania. Henry, il padre, li aveva resi benestanti, grazie alla macelleria che aveva aperto in Amsterdam Avenue. A Trudy il nuoto non piaceva. Fu lui che la volle nuotatrice. Aveva avuto il morbillo ed era quasi morta. Per cui fu anche una questione di salute. Henry stesso le aveva insegnato. La legava ad una corda e la incoraggiava a muovere le braccia. Nel film decide vedendo che le vittime di un naufragio cui aveva assistito eran tutte donne. Nella biografia si dice che la sua decisione venisse da una visita alla nonna in Germania fatta a otto anni in cui aveva rischiato di annegare. Imparare voleva dire non provare mai più una paura come quella. 

Water Baby

L’amore per l’acqua, però, arrivò e fu sincero. Lei stessa si dichiarava una "bimba d'acqua". Diceva anche d’esser "più felice tra le onde" che in qualsiasi luogo. La sorella più grande, Meg, la voleva campionessa. "Èstata lei a farmi diventare una nuotatrice", disse Trudy in un’intervista. "A me non è mai importato, in realtà. Ero pigra. Mi piaceva divertirmi in acqua, ma non mi piaceva prenderla sul serio”. “Ricevevo per posta questi moduli di iscrizione e li strappavo. Meg li tirava fuori e li spediva”. Così a quindici anni finirono alla Women’s Swimming Association, la squadra dell’american crawl. Charlotte Epstein, il gran capo, capì in fretta chi aveva davanti.  Ben presto arrivarono record nazionali e mondiali. In un solo pomeriggio ne fece addirittura sette. Fu a Brighton Beach, a Brooklyn, nel 1922. Nel 1924 si qualificò per i Giochi Olimpici. A diciannove anni salì sul podio di Parigi tre volte. Fu oro nella 4x100 stile libero e bronzo sia nei 100, che nei 400 stile libero. Alcuni dissero che poteva fare di più se l’allenatore l’avesse seguita invece di occuparsi solo degli uomini. Altri che gareggiò stanca e con un ginocchio infortunato. La cosa è probabile. Le americane, infatti, erano alloggiate in un hotel lontano da Parigi, in funzione “moralistica” (evitare le tentazioni della città), per cui dovettero viaggiare dalle cinque alle sei ore ogni giorno per arrivare alla piscina. "Prendevamo un taxi e giravamo per Parigi", ricordava lei. "Ci alzavamo in piedi e urlavamo per le strade. La gente diceva: 'Ecco i pazzi americani!'. Ci divertivamo davvero un sacco”. "Le gare olimpiche? Ricordo solo che dovevo nuotare come una matta." 

Open water

Gli applausi e le interviste del dopo, però, non la appagarono completamente. Così si buttò sulle distanze lunghe e il mare aperto. Fu ancora Meg a spingerla. La sua prima impresa Open water fu da Manhattan a Sandy Hook beach, ventidue miglia, che coprì in sette ore e undici minuti. Ci vollero ottantun anni per battere quel record. Quando Helen Wainwright, compagna di squadra scelta dalla WSA per tentare la Manica, rinunciò per infortunio, tutti pensarono a lei. In quel momento s’allenava con Jabez Wolfe, che aveva tentato l’impresa più volte. Partì che era raffreddata da giorni e tormentata dalla tosse. Ma nuotò lo stesso 37 chilometri in 8 ore e 43 minuti, finché qualcuno della barca d’appoggio non pensò fosse svenuta. Non si sa chi urlò "Sta annegando!", ma i suoi partner s’affrettarono a sostenerla, provocando l’immediata squalifica. Gertrude s’arrabbiò tantissimo e ritenendo responsabile il suo allenatore, lo liquidò sul posto.  

L’impresa

L’anno dopo compì l’impresa sotto la guida di Bill Burgess, uno che la Manica l’aveva fatta già nel 1911. Era il 6 agosto del 1926. Con un costume due pezzi, un paio di occhiali da motociclista resi impermeabili e una montagna di grasso sul corpo, partì da Cape Gris-Nez per arrivare a Dover. Nuotò a crawl per trentatré chilometri, con il mare in condizioni terribili. Dopo 14 ore 31 minuti arrivò alla meta. Era notte piena. Date le condizioni atmosferiche, per chi seguiva in battello, la gara fu una lunga pena. "Dovevo continuare a scherzare con loro per tenerli su di morale", rievocava Trudy. "Ricordo anche che cantavano all'infinito 'Let Me Call You Sweetheart', 'Sweet Rosie O'Grady' e 'After the Ball Is Over'. Ma quando la tempesta era più forte, sembrava che stessero andando a un funerale. Ogni volta che mi fermavo, sussultavano e dicevano: 'Che succede, Trudy? Tutto bene?'". Nei momenti più difficili, il suo allenatore le diceva di lasciar perdere. "ma io lo guardavo e dicevo: 'Per cosa?'. La risposta divenne famosa. Quando la acclamarono a New York le gridavano “Signorina per cosa?”. Il tempo che ottenne era record non solo per le donne, cosa scontato perché era la prima che riusciva, ma anche per gli uomini. Il precedente, infatti, era di Enrico Tiraboschi che tre anni prima aveva nuotato in 16 ore e 23 minuti. Il risultato travolgeva benpensanti e sostenitori dell’idea che esistesse il sesso debole.

Tripudio  

Una settimana più tardi a bordo della nave che la portava a casa, fu salutata da lanci di fiori da un aereo. In patria due milioni di Newyorkesi si riversarono sulle strade ad acclamarla, sommergendo il corteo che la trasportava con tonnellate di coriandoli. Era il più grande evento celebrativo nella storia di una donna. Il 27 agosto 1926 fu ricevuta dal presidente degli Stati Uniti Calvin Coolidge che la proclamò ufficialmente "ragazza migliore d'America". 

Forza d’animo

Nonostante l’enorme successo Trudy non fu mai influenzata dalla fama. Rimase per tutta la vita "una ragazza all'antica in un mondo di flappers (le ribelli degli anni 20)”, ma sempre espressiva di una grande forza d’animo. Chi l’aveva accompagnata in un'esibizione di nuoto anni dopo il suo ritiro, la ricordava come "una persona dolce, premurosa, gentile”, che scriveva poesie. Nel 1933 una caduta dalle scale l’aveva costretta alla sedia a rotelle, ma dopo anni di tentativi e di esercizi riuscì a rimettersi in piedi. Nel ‘40 divenne completamente sorda. Il suo udito non era stato buono fin dai tempi del morbillo e le ore in acqua lo avevano aggravato. Eppure, lontano dai riflettori, anche questa volta riuscì a dare senso alla sua storia, mettendosi ad insegnare nuoto ai bambini sordi. "Visto che non ci sento nemmeno io” diceva, “mi considerano una di loro". In ogni modo continuava a partecipare a diverse iniziative imprenditoriali e a vivere tranquillamente. Difficilmente rilasciava interviste. "Sono a mio agio e soddisfatta", dichiarò negli anni '50. "Non sono una che aspira alla luna, finché ho le stelle. Dio è stato buono con me”. Trascorse gli ultimi tempi al Christian Health Care Center di Wyckoff, nel New Jersey. Morì il 30 novembre 2003, a 98 anni. 

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