Storia dell’istruttore di nuoto nei secoli

Come in tutti i campi dello scibile, il pensiero occidentale è indissolubilmente legato al mondo ellenico anche per lo sviluppo della didattica del nuoto.
Una prima, grande distinzione separa la scuola nuoto spartana da quella ateniese.
Sparta applicò con convinzione il cosiddetto “insegnamento attivo”: il primo giorno di lezione gli allievi erano radunati sulla Rupe Tarpea e di lì scaraventati fra i vortici e scogli sottostanti; se e una volta riemersi, venivano utilizzati come bersaglio per i dardi degli spartiati in addestramento.
Basta frequentare una qualsiasi scuola nuoto odierna per rendersi conto di quale e quanto fascino esercita ancor oggi questo metodo su istruttori, coordinatori, direttori sportivi.
Più complesso e dialettico l’approccio degli ateniesi, irrimediabilmente divisi in numerose scuole, ciascuna con una propria peculiare metodologia -e anche in ciò, quante analogie con il nuoto odierno!
I corsi tenuti da Socrate, ad esempio, erano strutturati in forma rigorosamente contraddittoria: il maestro apostrofava gli allievi, evidenziando come la conoscenza consistesse nella consapevolezza di non sapere, e al termine di questo ragionamento Socrate si ritrovava in acqua mentre gli allievi, imprecando, chiedevano la restituzione delle quote versate.
Non meno complesso l’approccio di Platone, il quale, consapevole di come i quattro stili non fossero che distorti riflessi di modelli ideali, e constatato come i propri allievi di avvicinarsi a tali modelli non ne volessero sapere, dopo poche stagioni chiuse la scuola e dilapidò tutti i guadagni in vino e bagasce (pornòi).
Ma è forse Aristotele che ha esercitato l’influenza più profonda sul nuoto moderno: servendosi dell’osservazione e della logica, compilò millecinquecento trattati sul nuoto, nei quali descriveva minuziosamente ciascuno stile, calcolando perfino l’angolo di flessione delle singole falangi. Tanto ponderosa e minuziosa fu l’opera dello stagirita da essere accolta con devota sottomissione da decine di generazioni successive, con storture e aberrazioni (ancora nel Rinascimento capitava che un istruttore, ripreso dal capovasca per aver fatto un mese di esercitazioni con la sola tavola, si sentisse rispondere “ipse dixit”…).
Ma la principale causa del declino del nuoto ellenico fu la larghissima diffusione della pederastia: non passava giorno senza che qualche mamma ateniese non lamentasse di fronte all’agorà le molestie subite dal proprio figliolo (e anche qui, quante analogie…).
Non a caso, uno dei primi provvedimenti dei Romani fu l’istituzione di spogliatoi separati, del divieto di aggirarsi nudi per le piscine e della castrazione per i molestatori di giovanetti: privati del principale divertimento, i Greci abbandonarono in massa il nuoto.
Nell’educazione del civis romano, invece, il nuoto mantenne un’importanza fondamentale e conobbe un’amplissima diffusione, supportata dalle nuove tecnologie: recenti ritrovamenti (enormi ganci di bronzo) hanno dimostrato inequivocabilmente come Piazza Navona e il Colosseo fossero a tutti gli effetti campi gara attrezzati con separatori di corsie (formati da venticinque schiavi ciascuno appeso alle caviglie del precedente).
Raggiunto il massimo splendore nell’era dei Cesari (non tutti sanno che Giulio Cesare guadò il Rubicone a nuoto e per lungo), anche il nostro sport declinò in seguito alle calate dei Barbari, giunti dalle foreste e dalle steppe dell’Europa centro-orientale e dediti a discipline meno nobili, ma che pure hanno conosciuto un largo seguito fino ai giorni nostri: invasione, devastazione, genocidio, per citare quelle di maggior successo.

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