Insegnare o imparare?

Sono convinto che solo in una buona scuola nuoto possano formarsi dei campioni. E’ un settore che a mio avviso non ha ancora trovato un grado di omogeneità nelle nostre piscine e fa bene la FIN a occuparsi di come si insegna perché il futuro del nostro sport nasce nelle vasche didattiche. È lì che stanno sguazzando  i Magnini, Rosolino e Fioravanti dei prossimi anni.

Insegnare e imparare sembrano le due facce di uno stesso percorso didattico, ma non è  sempre vero.

Ho una grande fiducia in madre natura e sono convinto che con un’esperienza di qualche decina o centinaio di milioni di anni di esperimenti nel mondo animale, abbia messo a punto meccanismi  motori più efficienti di quelli che possono essere proposti anche da sublimi tecnici e allenatori sostenuti da quanto di meglio l’informatica mette  a loro disposizione.

Rovesciando il ragionamento, sono convinto che ciascun individuo nel tempo elabori istintivamente i meccanismi motori che meglio si adattano alle sue caratteristiche fisiche. Per cui, se analizzassimo con precisione assoluta il modo di camminare e di correre di ciascuno di noi, risulterebbe come più economico ed efficiente proprio quello che istintivamente abbiamo “elaborato” negli anni, partendo dai primi passi nell’infanzia.

E questa elaborazione istintiva prosegue nel tempo, adattando la tecnica alla crescita corporea  e al potenziamento della muscolatura. Unica condizione, che non vi siano cause esterne che interferiscano su questo meccanismo di adattamento.

Se questo è vero, il miglior modo di impadronirsi di una tecnica motoria è quella di “impararla”, ovvero elaborarla dall’interno e affidarne  l’evoluzione e il perfezionamento degli schemi motori agli automatismi “istintivi”, piuttosto che riceverla “insegnata e imposta” dall’esterno, come un abito preconfezionato che finisce per non rispettare le proprie misure.

Nel nuoto, che si basa su movimenti estremamente semplici e non presenta  difficoltà tecniche o di coordinazione,  l’unica interferenza  che ne impedisce lo sviluppo spontaneo è la paura dell’acqua.

È la paura infatti che condiziona la possibilità di “imparare” istintivamente una tecnica naturale e di svilupparla nel tempo fino a raggiungere la massima efficienza potenziale. Che nel caso dell’atleta di grande talento può essere la medaglia olimpica.

Conclusione: se non si rimuove completamente la paura dell’acqua il, bambino, l’atleta, il fuoriclasse,  non riusciranno a sviluppare al massimo le loro potenzialità. Il bambino che  impara a camminare su un cornicione alto 50 metri con il terrore di cadere, non diventerà mai campione olimpico dei 100 piani. In molte scuole nuoto però si “insegna” a nuotare senza tenere conto del “fattore P(aura)” e ci si limita ad applicare agli allievi schemi tecnici che gli permetteranno di muoversi nell’acqua ma non di “saper nuotare”.

Se entrassi oggi in una delle piscine che fanno parte del Plain Team Veneto con la mentalità che avevo 15 anni fa rimarrei inorridito! Bambini che sguazzano, giocano con galleggianti, ridono scherzano e si divertono con gli istruttori! Niente squadre ordinate, file di bimbi appesi al bordo a battere le gambe, istruttore sussiegoso con fischietto (e poi vasca grande appena possibile e via al brevetto con tempi prefissati e rigorosamente rispettati.)

Niente di tutto questo oggi. Vedo invece istruttori in acqua che giocano, il caos (organizzato)con l’unico e immediato obiettivo, di eliminare qualsiasi forma anche residua di avversione per l’acqua. 1, 10, 100 lezioni? Non è mai tempo perso quando serve per eliminare la paura e rendere l’acqua elemento amico. Quando cominceranno a imparare le tecniche recupereranno in fretta, ma soprattutto svilupperanno una nuotata naturale, costruita istintivamente su misura per ciascuno di loro e perciò della massima efficienza.

In  molte scuole nuoto si prende come modello uno “stile” che fa riferimento a quello dei migliori campioni, o meglio, di quelli che sono anche più armoniosi.  Certo, impressiona la vista del passo di marcia di una compagnia in parata, ma quel passo non è di sicuro il più economico per tutti i soldati. Quando si spara tutti camminano e corrono come gli viene meglio, la militarizzazione della tecnica non è una  scelta naturale, si ottiene una buona media, un bello spettacolo di bambini che nuotano tutti allo stesso modo, magari con grande impegno degli istruttori, ma a discapito della massima efficienza per ciascuno. Da una piscina ridotta a “nuotificio”, difficile che escano campioni.

Lamberti ha battuto il record del mondo con una bracciata fortemente asincrona e così tanti altri prima e dopo di lui. Fioravanti si sollevava sull’acqua più di qualsiasi altro ranista, solo lui poteva trarre vantaggio da quella tecnica. Appunto.

Caso  recente il confronto tra il  Rosolino della finale di Sidney, che caracolla come  un pallanotista in cerca del  pallone  al fianco dell’impeccabile  Thorpe e  quello tornato dopo un paio di stagioni in Australia, molto più equilibrato e fluido in acqua. Dovremmo dunque ringraziare il tecnico che gli ha fatto la cura  di bel nuoto.

Dettaglio, a Sidney fece 3.43.8. Con la bracciata più ampia  e la potente battuta di gambe  quel tempo non l’ha più neanche avvicinato (e bastava ancora per vincere  i mondiali 2007).

Concludendo, a mio parere il modo migliore di insegnare il nuoto è quello di creare le condizioni perché ogni bambini possa sviluppare nel modo migliore le proprie capacità motorie in acqua, rimuovendo completamente la paura dell’acqua e imparando le tecniche in maniera naturale (metodo globale). Una bracciata a “cagnolino” (movimento continuo) si trasforma in stile libero, “l’alternata” (discontinua) mai.

Premesse ambientali irrinunciabili: vasca poco profonda (80-90 cm), calda (30°-31°), istruttore in acqua. In vasca grande si va quando i bambini “non vedono l’ora” di andarci!

L’ambientamento in piscina grande, salvo rari casi di bimbi che non hanno paura, di fatto è impossibile. Timore dell’acqua  fonda, freddo,  mancanza di contatto fisico con l’istruttore sono un limite invalicabile. Permane  sempre un residuo di  paura che impedirà una completa maturazione tecnica nel tempo.

Metodi che adottano questo percorso didattico a mio parere sono elaborati su fumose teorie psicopedagogiche, piuttosto che guardando negli occhi i bambini e conducono in un vicolo cieco. La premessa da cui derivano  è che la paura dell’acqua dipenda dal non saper nuotare, ma questo è un errore grossolano. Certo, sfruttando il timore dei bimbi di affondare si accorciano i tempi di insegnamento, ma è esattamente il contrario di quello che si vorrebbe ottenere. Gli si insegna a galleggiare e a muoversi da una parte all’altra della vasca, ma non imparano a nuotare.

Perciò, anche  nella sfortunata situazione di una piscina senza vasca piccola, l’istruttore dovrebbe entrare in acqua con i bambini (magari con una muta se ci deve stare più ore). Almeno quello.

Conclusione: solo le buone scuole nuoto possono produrre potenziali campioni. Compito degli allenatori quello di dar dare una limatine finale alla tecnica (il recupero, la presa in acqua ecc.) e di allenarli, ma al resto meglio che provveda madre natura.

 

 

 

 

 

 

 

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