Essere vecchi oggi: un manifesto per una lunga vita attiva

Che “senso” hanno i vecchi oggi? I vecchi, nella storia dell’umanità, non sono mai stati così tanti, longevi e ingombranti per le nuove generazioni.
Fino al secolo scorso, si consumavano abbastanza presto, adesso invece, i vecchi -come me- sono il risultato di una mutazione antropologica iniziata circa settanta anni fa. Siamo i baby boomers, nati dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, figli della speranza e della ricostruzione, realizzata con impegno ed ottimismo dai nostri genitori, dopo i drammi e le distruzioni della guerra. Siamo stati molto fortunati. Siamo nati in case malandate, senza riscaldamento, spesso con il gabinetto nel corridoio in comune. Alcuni sono emigrati con la famiglia in cerca di “fortuna”, molti sono rimasti a lavorare a qualsiasi condizione.
E noi siamo cresciuti in un mondo nuovo. Siamo andati a scuola e poi all’università, “perché anche l’operaio voleva il figlio dottore”, pensando di diventare “classe dirigente” e forse addirittura élite. Lentamente, è arrivato il riscaldamento nelle case, poi il frigorifero, il televisore, le medicine e i vaccini, che ci hanno protetto da malattie che erano da sempre mortali o invalidanti, come il vaiolo o la poliomielite. Siamo nati e cresciuti in un mondo senza guerre, almeno dalle nostre parti, e quindi siamo tendenzialmente “pacifisti”.
A un certo punto, da giovani, abbiamo pensato di cambiare il mondo per renderlo più giusto. Qualcuno però, meno “pacifista” degli altri, si è messo a sparare in cerca di scorciatoie. Altri hanno messo una marea di bombe, da Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, alla bomba devastante alla Stazione di Bologna, alle 10.25 del 2 agosto 1980, perché qualcun altro voleva la conservazione di un potere immutabile. Alla fine, però, la democrazia ha retto e il cambiamento, piano piano e faticosamente, è andato avanti. Adesso, eccoci qua. Siamo i “nuovi senior”. Siamo tanti, più longevi, curiosi, attivi che mai. Abbiamo lavorato, fatto debiti e consumato risorse oltremisura. Per questo, anche se non siamo tutti ricchi, abbiamo ancora un certo peso economico, come dimostra la fiorente silver economy.
Ma, a questo punto, siamo un bene o siamo un male? La pandemia ci ha messo, momentaneamente, in un angolo, perché scienziati, politici e mass media frettolosi, ci hanno definito tutti “fragili”, anche quando non era vero, ma adesso un virus beffardo si sta vendicando ed inizia a colpire soprattutto i più giovani, per fortuna dotati di maggiori risorse immunitarie, che si sentono invincibili e non rinunciano a balli e movida senza mascherina. Cosa deve fare, allora, la generazione dei “nuovi senior”? Quasi nessuno si è posto seriamente il problema di come affrontare questa mutazione antropologica. Lo ha fatto, solo in parte e malamente, la detestata “riforma Fornero”, sul progressivo prolungamento dell’età pensionabile, ma è stata una “soluzione” schematica e burocratica, senza alcuna seria riflessione su una complessiva riforma dei tempi e modalità di lavoro. Ma i “nuovi senior”, che –inevitabilmente- sono tutti un po’ kennediani, cosa possono fare, non solo per se stessi, ma per il proprio paese e le generazioni future? I “nuovi senior”, spesso, hanno cultura, continuano a fare sport, inseguono una alimentazione equilibrata, viaggiano in modo responsabile, possono avere una qualità della vita che allontana il momento della “fragilità” e della malattia per pesare il meno possibile sul sistema assistenziale e sanitario, che altrimenti rischierebbe di saltare. Forse non è un caso se la cultura della “lunga vita attiva” si sia sviluppata in una città come Trieste, abituata allo sport, al movimento, alla vitalità culturale. Trieste, allora, potrebbe diventare davvero un laboratorio europeo per una cultura della prevenzione e di una longevità sana e consapevole, che pesi il meno possibile sulle generazioni future. Ma un po’ bisogna crederci e qualcuno ci sta provando…
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