Persone con disabilità, prime vittime del lockdown

Ospitiamo con grande piacere una riflessione di Paolo Danese. Insegnante della scuola primaria, specializzato nel sostegno, docente presso l’Università degli studi di Pavia e referente del Settore istruzione tecnica della Federazione italiana nuoto per le aree disabilità e scuole dell’obbligo.

È assodato, siamo nella seconda ondata pandemica Covid. Nulla di inaspettato: l’estate è trascorsa come se nulla fosse successo solo qualche mese prima e nei vari luoghi di villeggiatura in spiaggia, in montagna, al lago ci si è rilassati fin troppo, senza troppa cura dei protocolli Covid proposti; a causa di questo “abbassare la guardia” non occorreva domandarsi se, ma quando saremmo ricaduti in una crisi sanitaria.

Ci si doveva quindi aspettare che, in attesa dell’irreparabile, si avesse imparato dagli errori precedenti e si fosse provveduto a metter in atto soluzioni per non limitare i danni. Da maggio, ad esempio, i gestori dei centri natatori hanno messo ulteriormente a norma i propri impianti, riuscendo nel loro intento, visto che a tutt’ora in nessuna parte d’Italia esiste un dato significativo che dimostri che in una piscina si sia sviluppato un focolaio di contagio. Ma, come per la prima ondata pandemica, a qualcuno non importa tutto questo, quindi le piscine devono chiudere.

Il tutto non deve meravigliare, in linea con i ragionamenti dei politici e dei membri dei vari comitati scientifici. Ogni loro scelta si basa su criteri quantitativi, i più convenienti e facili. Consentono generalizzazioni, permettono di decidere le categorie importanti e escludere quelle meno significative. Ed è quello che sta succedendo ora. Cosa può restare aperto? Fabbriche, uffici pubblici. Cosa deve chiudere? Palestre e piscine. Perché le scuole devono rimanere aperte? Perché le (molte) mamme devono poter andare al lavoro. Perché le piscine devono chiudere? Per evitare rassembramenti di gente che ci va. In nessun momento Governo e Comitato Scientifico hanno ragionato anche in modo qualitativo, basandosi non esclusivamente solo sui numeri, ma valutando anche gli “effetti collaterali” che alcune scelte stanno determinando e che nessun vaccino guarirà alla fine della pandemia.

Penso in questo momento al variegato mondo delle persone con disabilità. Anche in questo secondo periodo di crisi sanitaria l’interesse è minimo: i media li rappresentano con notizie sporadiche, i politici se ne sono dimenticati quasi completamente, considerandoli solo per qualche spot del momento. Appaiono come una minoranza silenziosa o, meglio, silenziata, che poco interessa. E ora, il danno finale: non basta che il mondo delle persone con disabilità siano stati completamente sottovalutati e, di conseguenza, dimenticati dalla stragrande maggioranza dei decreti degli ultimi mesi. Ora, la decisione di chiudere le piscine aggiunge un ulteriore danno e mette maggiormente in crisi questa parte della nostra società, già pesantemente stressata dalla precedente ondata di Coronavirus.

Sono testimone diretto, come insegnante di scuola primaria, di colleghe di sostegno e di educatori comunali che stanno facendo una gran fatica a reinserire in classe bambini e ragazzi con disabilità più o meno grave, che, a causa del lockdown di marzo e alla conseguente impossibilità di fare attività scolastica ed extrascolastica, non riescono più relazionarsi con persone diverse da quelle che vivono nel proprio ambiente familiare. Le manifestazioni anche violente di comportamenti problema a scuola sono all’ordine del giorno, anche in forme inaspettate e stigmatizzanti per chi le esegue e dolorose per chi le subisce. Molti di questi nostri alunni facevano corsi di nuoto, interrotti allora e interrotti tuttora dalla chiusura delle piscine. Non la considero una mera coincidenza.

La decisione di lasciare aperti i centri idroterapici con presidio sanitario obbligatorio o che effettuino l’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza (LEA) è un ulteriore segno di una non completa comprensione delle esigenze di una persona con disabilità. Un livello essenziale di assistenza non può essere attenzionato solo su un aspetto quantitativo, quanto cioè è grave la limitazione di una persona a livello motorio, quanto a lui o a lei serve fare riabilitazione o rieducazione funzionale. Esistono necessità che esulano da queste necessità.

A livello di funzionalità motoria di base, infatti, molti allievi sono autonomi o non la ritengono una priorità. E chi non considera queste non-necessità e sta bloccando l’uso delle piscine sta arrecando a queste persone un danno immenso: cioè, sta impedendo la possibilità di permettere miglioramenti anche e soprattutto a livello cognitivo, emotivo e di autonomia. Che sia un’attività individuale o il poter lavorare di gruppo, che si stia parlando di un allievo giovane o anziano, la chiusura delle piscine impedisce di avere uno spazio conosciuto ove muoversi liberamente, potersi confrontare e relazionare con persone diverse dal proprio ambiente familiare, potersi mettere in gioco, nelle forme che meglio preferiscono.

L’acqua, e il contatto fisico e/o sociale con l’istruttore hanno infatti l’effetto di stimolare fattori come il senso di fiducia verso se stessi e verso gli altri, aiutando l’allievo con disabilità ad acquisire una maggiore consapevolezza del proprio corpo e nelle proprie potenzialità e, di conseguenza, provocando in loro un aumento di autostima, spendibile successivamente in quello che faranno nella vita di tutti i giorni, fuori dall’acqua. Grazie all’attività in acqua si promuove una costante crescita personale dei propri limiti e delle proprie potenzialità attraverso percorsi che permettono di raggiungere obiettivi alla portata dell’allievo o dell’allieva, calati in situazioni di non-insuccesso. In acqua l’istruttore può promuovere, momenti di problem solving con giusto grado di difficoltà, il cui superamento è stimolo per ulteriori acquisizioni e per mantenere e incrementare curiosità, interesse e desiderio di trasferibilità delle acquisizioni raggiunte in altri ambiti.

Sono veramente triste e arrabbiato, pensando che, con la chiusura delle piscine senza deroghe e malgrado gli sforzi profusi di molti gestori per consentire questo circolo virtuoso, tutto sia stato interrotto con forti ripercussioni nei percorsi di integrazione e di inclusione intrapresi, anche dopo la fine di questa emergenza sanitaria e che costerà una enorme fatica a tutti noi operatori nel campo dello sport per persone con disabilità e ai nostri allievi. La speranza o, meglio, la richiesta non tanto sussurrata ma proprio urlata a pieni polmoni, è che riaprano in toto le piscine; ma se proprio non fosse possibile, almeno che si possa riaprirle almeno per le persone con disabilità, considerando i loro bisogni come livelli essenziali di assistenza, qualunque essi siano, e per non far cadere nel nulla i corrispondenti progetti, indispensabili per il loro progetto di vita.

Paolo Danese

Ph. ©Alexandre Saraiva Carniato @Pexels

 

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