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Andrea Di Nino e la bolla ISL: "Abbiamo avuto coraggio e acquisito grandissima credibilità"

Intervista esclusiva col tecnico friulano che, oramai lontano dal bordo vasca, è stato tra gli artefici principali dell'ottima riuscita dell'ISL, occupandosi di tutto il protocollo sanitario a Budapest.

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Oramai a Budapest è di casa. Eppure, ora che si avvicina l’ultimo atto della International Swimming League , Andrea Di Nino sta già pensando alla sua Caserta. È stato un autunno intenso per il tecnico friulano trapiantato in Campania che eravamo abituati a vedere a bordo vasca e che con il tempo si è spostato verso ruoli sempre più dirigenziali, fino a quello ricoperto negli ultimi mesi, delicatissimo, di gestione della fatidica bolla che ha reso possibili le scoppiettanti competizioni nella vasca magiara, occupandosi di tutto il protocollo sanitario.

Andrea, quanti tamponi ha fatto per la ISL?

Partiamo dai miei. Due prima di partire, nove sin qui nelle sette settimane a Budapest e ora me ne mancano ancora altri due per la finale: chiuderò con 13 complessivi. Però va bene così perché grazie a questo siamo riusciti a far funzionare tutto. Lo diciamo a voce bassa perché manca l’ultimo weekend, ma possiamo già sbilanciarci: aver avuto zero positivi è un risultato eccezionale. I due che erano stati trovati positivi al loro arrivo sono stati messi in quarantena e poi hanno potuto nuotare.

Chi erano i due positivi?

Per policy, abbiamo deciso di non comunicarlo, lasciando la libertà di farlo all’atleta. Se quest’ultimo avesse pubblicato qualcosa prima di partire come ha fatto ad esempio Femke Heemskerk , noi ci saremmo limitati a confermare. Comunque entrambi gli atleti di cui parlavo sono tornati a gareggiare, come dicevo, e l’han fatto anche bene.

Quanti test avete fatto?

Oltre 5000 test a 320 atleti che sono rimasti a Budapest per sei settimane. È stato qualcosa di straordinario: era l’ostacolo più importante.

Un esempio virtuoso che ha ricalcato e forse perfino perfezionato quello della NBA nella bolla di Dysneyland: avete preso spunto?

Assolutamente sì. La prima cosa di cui abbiamo discusso è stata di avere un partner credibile e affidarci all’Università Semmelweis per questo ruolo è stata la scelta azzeccata, dettata dal fatto che si erano occupati di gestire qualche giorno prima la bolla della Formula 1 all’Hungaroring. Sapere che avevano già avuto esperienza con un’organizzazione così seria e strutturata è stato per noi un motivo di ulteriore fiducia. Ci siamo resi conto della loro professionalità nella quotidianità.

Che supporto avete avuto dal governo ungherese?

La loro fiducia in primis e il fatto che il presidente della Repubblica sia venuto a vedere uno dei match della stagione regolare e ciò per noi è un motivo di orgoglio. Nello specifico, il governo ci ha aiutato a creare un canale sanitario, con un corridoio per atleti provenienti da nazioni a cui era stato vietato l’accesso per i normali cittadini. Nazioni considerate zone rosse come Stati Uniti o Brasile, ovviamente previo un protocollo sanitario rigido, come due test PCR all’ingresso e la quarantena successiva. Se non ci fosse stato l’ok del governo, non ci sarebbe stata l’ISL.

Le ha fatto piacere ricevere così tanti riscontri positivi dagli atleti?

Ci sono nuotatori, come Kira Touissant , che volevano stare qui per poche settimane e poi hanno deciso di rimanere perché han trovato le condizioni migliori per vivere e allenarsi. Discorso simile per Marco Koch che, pur avendo ricevuto l’invito dalla Federazione tedesca a non partecipare per evitare qualunque rischio di contagio, ha risposto ai media tedeschi di sentirsi più sicuro a Budapest rispetto ad andare al supermercato in Germania. O ancora Marco Orsi che, pur avendo finito di gareggiare da qualche giorno, è rimasto qui perché dice che ci sono le condizioni migliori anche per allenarsi. Queste per noi sono state le gratificazioni migliori perché la sicurezza degli atleti era il nostro obiettivo e nessuno si è sentito oppresso dai protocolli.

[caption id="attachment_11434" align="aligncenter" width="450"] Marco Orsi  - Photo A.Masini/Deepbluemedia/Insidefoto [/caption]

E i tempi di spessore non sono mancati.

Siamo già a tre record del mondo, che è il numero totale di quelli fatti nella scorsa edizione. Speriamo di riuscire ad averne ancora qualcuno in quest’ultimo weekend.

Dunque, il gioco è valso la candela anche sotto il punto di vista economico?

Penso proprio di sì.  Dopo quest’edizione del 2020, la credibilità acquistata da ISL è molto superiore a quella del 2019, ancor più in un anno in cui FINA decide di non organizzare nessun evento, di fatto alzando le braccia di fronte al Covid, non ci sono eventi di natura globale nel nuoto, pochissimi in generale nello sport come l’NBA o il Mondiale di ciclismo a Imola. Il fatto che un’organizzazione privata si sia presa la responsabilità etica di fronte agli atleti e poi garantisca questo risultato significa che siamo al passo delle migliori organizzazioni sportive: l’abbiamo dimostrato coi fatti e non con le parole. Penso che sia impossibile trovare un atleta che non sia contento di questa edizione.

State già guardando a quella del 2021?

Stiamo già lavorandoci. Penso che sarà un compromesso tra l’edizione del 2019 e quella del 2020. L’idea è di avere ISL in diversi continenti, non in uno solo, ma al contempo in città in cui andremo per un tempo più lungo di un weekend. Abbiamo visto che questo format, che è stato anche un po’ obbligato per evitare ulteriori rischi coi viaggi, ha pagato molto,  e gli atleti l’hanno confermato, entusiasti di potersi allenare tra una gara e l’altra con i migliori al mondo anche di altre nazioni.

Non le manca il bordo vasca?

Quel percorso l’avevo concluso, avendo avuto la fortuna di viverlo a vari livelli e di raggiungere obiettivi insperati a inizio carriera. Avevo bisogno di nuove sfide e qui ogni giorno ce n’è una nuova, si entra in contatto con mondi diversi, come è capitato quest’anno a me con quello medico, con la responsabilità di disegnare questo protocollo con l’Università di Budapest. Ogni giorno si impara qualcosa di diverso.

[caption id="attachment_37206" align="aligncenter" width="505"] Andrea Di Nino - Photo Giorgio Scala/Deepbluemedia [/caption]

Crede che il modello sanitario sia esportabile per manifestazioni nazionali, come ad esempio gli Assoluti di dicembre?

Con alcune Federazioni, come quella inglese che ci ha supportato, abbiamo avuto un rapporto costante. Siamo a disposizione di qualunque Federazione per relazionarci sul tema. Venendo al Campionato Italiano, io penso che sia un dovere per lo sport italiano portare avanti i programmi nella massima sicurezza degli atleti. Arrendersi non sarebbe etico e sbagliato. La Federazione ha le conoscenze mediche e un budget importante che può destinare a creare una bolla per un evento che peraltro è ridotto in termini di numeri di giorni, dunque più facile da gestire. Ciò vorrebbe dire permettere a tanti ragazzi italiani di portare avanti i propri sogni in vista olimpica.

A proposito, qual è il suo punto di vista su Tokyo?

Mi auguro che le Olimpiadi si facciano, altrimenti per molti atleti vorrebbe dire avere dedicato quattro anni della propria vita al nulla e per altri persino la fine della propria carriera. Parlo di quegli sport che non possono avere dei circuiti privati.

Per caso ha visto, invece, l e dichiarazioni di Cavic su Pechino 2008 e il presunto conflitto di interessi dell’Omega?

L’ho sentito qualche settimana fa, ma non mi ha detto nulla a riguardo. Per partito preso però, io sono sempre con Milorad. A prescindere, qualunque cosa dica.

Finita l’avventura dell’ISL, dove andrà lei che è un giramondo?

Finalmente nella mia Caserta, a casa. Poi ora ho pure l’ufficio ISL a Napoli, quindi sempre vicino.

XVI FINA World Championships Aquatics Swimming; ORSI Marco
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