“Uscito fuor del pelago a la riva”

Pubblichiamo con grande piacere un contributo di Trifone Gargano. Insegnante di Lettere, professore universitario,  fra i massimi esperti e divulgatori in Italia di studi danteschi e grande appassionato di nuoto, ci aiuta a trovare nell’opera del Sommo Poeta i numerosi riferimenti all’acqua, al mare, al nuoto. Siamo certi che apprezzerete questo contributo, al quale ci auguriamo nel seguiranno presto altri.

L’elemento “acqua” è presente nella vita di tutti noi, e quindi anche nelle opere letterarie, di tutti i tempi. Com’è noto, la Divina Commedia di Dante è divisa in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Già nei primissimi versi dell’Inferno è presente una similitudine che si riferisce proprio al mare, e al nuoto:

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva. [If., I, vv. 22-7]

(E come colui che, con il respiro affannoso,
giunto alla riva, dopo essere uscito dal mare,
si volge all’acqua insidiosa e la guarda con orrore,

così il mio animo, mentre nell’intimo ancora fuggiva,
si girò indietro a osservare il luogo
che non aveva mai lasciato nessuna persona viva)

Il senso di questa prima similitudine è chiarissimo, ed è espresso attraverso le due parti che la compongono: nella prima, il naufrago, che ha nuotato affannosamente, dopo che si è salvato, si gira, sorridente, per guardare le onde dalle quali è uscito vivo; nella seconda, invece, il poeta stesso si gira a guardare la «selva oscura», dalla quale è appena uscito, e dove ha rischiato di morire, e sorride. Queste due terzine fulminanti di Dante, in appena 210 caratteri (spazi bianchi inclusi), quasi un tweet contemporaneo, sono accostabili a questo passaggio della Introduzione del libro di Carola Barbero, L’arte di nuotare (2019):

I nuotatori, quando escono dall’acqua, sorridono.
I corridori fanno smorfie impressionanti, , i ciclisti digrignano i denti, i tennisti chiudono ermeticamente le labbra.
I nuotatori sorridono.
Non c’è nulla di più struggente e curioso.
[p. 13]

Sia Dante che Barbero sottolineano, infatti, quella «pacata serenità» che resta stampata sul viso del nuotatore, che ha compiuto l’«impresa». In entrambi i testi, viene sottolineato che, dopo lo sforzo (e dopo la paura), sul viso del nuotatore tutto si allenta, si rasserena, fino al sorriso che «illumina». Ed è curioso che in entrambi i testi, a distanza di sette secoli l’uno dall’altro (e, probabilmente, senza alcuna diretta derivazione), sia presente la parola «luce»: in Dante, la luce del colle che rasserena e che illumina il volto del viaggiatore infernale; in Barbero, il volto del nuotatore, che, uscendo dall’acqua, si illumina, «sollevando gli angoli della bocca».

Uscito dal cono infernale, Dante ricorre ancora una volta alla metafora del mare, dell’acqua, e della navigazione, per rendere appieno la condizione del suo stato d’animo:

Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele; [Pg., I, 1-3]

Per solcare acque più tranquille, alza le vele
ormai, la piccola nave del mio ingegno,
che si lascia alle spalle un mare così insidioso

Le immagini della navigazione sono molto frequenti nella Divina Commedia di Dante, così, in generale, i rinvii all’acqua, ai fiumi, ai laghi e al mare. I lettori ricordano i fiumi dell’Inferno (Acheronte, Flegetonte); quelli del Purgatorio (Letè, Eunoè); ma anche la palude Stige infernale; il lago ghiacciato del Cocito; il mare che circonda l’isola del Purgatorio, sulla cui spiaggia sbucano Virgilio e Dante, attraverso la «buca d’un sasso», provocata proprio dallo scorrere di un ruscello:

Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo [If., XXXIV, 133-34]

La mia guida e io entrammo per quel cammino nascosto
per tornare nel mondo luminoso

Carola Barbero, nel suo libro scrive che il mare:

non è la spiaggia con gli asciugamani e le sdraio dove le persone prendono il sole […]. È quella cosa che divide la spiaggia dallo scoglio, l’orizzonte lontano che si cerca di catturare con l’ultima bracciata. Ma non è solo questo […].
In un certo senso è un rifugio, una pausa fatta di solitudine e potenza. Sì, perché a differenza di altri sport, il nuoto è solitudine pura […]. (pp. 11-2)

Anche la figura di Ulisse, nel canto XXVI dell’Inferno dantesco giganteggia su tutti gli altri per la sua condizione solitaria, per la sua scelta (coraggiosa) e solitaria di affrontare, con la «compagnia picciola», l’«alto mare aperto».

Trifone Gargano

Ph: François Lafon, Dante et Virgile sur les rives du Purgatoire, 1886

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