Never forget

Cerchiamo di non dimenticare troppo presto questi Mondiali di nuoto (e non solo) di Budapest 2022.
Ma che Italia è quella che emerge sulle rive del Danubio? È un’Italia trionfale, è una “grande potenza”, è soprattutto un’Italia sorprendente ed inattesa, ma solo perché siamo poco abituati a guardarla dal pelo dell’acqua.
Nella contabilità, un po’ miope, delle medaglie siamo dietro a due grandi potenze, mostruose da tutti i punti di vista, come USA e Cina. E poi ci siamo noi. Ne siamo, ovviamente, orgogliosi, per una disciplina tanto complessa e composita ma, una volta passato l’effimero entusiasmo mediatico, conviene cercare di capire da dove vengano questi risultati straordinari, per i quali ci ubriachiamo di medaglie e ci dimentichiamo di chi è arrivato “solo” quarto o è arrivato appena in finale.
Per cercare di indovinare dobbiamo avere uno sguardo più profondo, come per guardare l’efficacia e la tecnica delle bracciate con una telecamera subacquea. Non è facile, ma ci si può provare. E se il “segreto” fosse nel rispetto flessibile che la FIN offre ai suoi atleti, che possono continuare ad allenarsi, soprattutto quando sono ancora abbastanza giovani, nella straordinaria normalità del proprio ambiente e con i propri tecnici “storici”, che li hanno seguiti fin dall’inizio rispettando i loro tempi di maturazione e crescita? È un’ipotesi che Benedetta Pilato conferma perfettamente. Classe 2005, precoce primatista mondiale nei 50 rana (29”30 nel 2021) ed ora campionessa mondiale a Budapest, “scoperta” ed allenata da sempre da Vito D’Onghia, dipendente ASL di Taranto, città dove Benedetta, di nome e di fatto, è nata, vive e si allena, da sempre.
Lo stesso si può dire per Thomas Ceccon, primatista e campione del mondo nei 100 dorso (51”60), nato a  Thiene e che si allena -da sempre- con Alberto Burlina, vicino a casa, a Verona, nella piscina intitolata ad Alberto Castagnetti, la stessa che ha visto esplodere Federica Pellegrini.
Anche il suo amico Federico Burdisso, nato a Pavia, che dopo una esperienza negli USA è allenato da sempre da Simone Palombi, laurea in economia politica, che ha abbandonato il posto sicuro ed ha scelto la “precarietà”, la passione e l’adrenalina del tecnico di nuoto, che segue i suoi atleti a 360 gradi.
Ma dentro questa miscela fatta di conoscenza, affetti, territorio, c’è la grande competenza di tanti tecnici che sono cresciuti grazie alla “formazione permanente” promossa ed imposta dalla FIN.
Discorso in parte diverso per i fondisti, del cloro e delle “acque libere”, che gareggiano fino a 1500 metri in piscina e poi 5 , 10fino,  a 25 kilometri, la maratona del mare.
È un clan davvero speciale. Sono cresciuti al Centro federale di Ostia, dove nuotano 80 kilometri alla settimana. Gregorio Paltrinieri è un modello e un punto di riferimento per tutti che, per raggiungerlo e tentare di superarlo, appena possono, gli fanno il solletico sui piedi. Così Greg ha superato la solitudine del maratoneta dell’acqua e ha fatto crescere nella sua scia una squadra di fondisti italiani senza precedenti.
All’Olimpiade di Tokyo, nel 2021, era stato tradito dalla mononucleosi e i mass media, che parlano e scrivono senza conoscere la fatica vera, avevano già decretato il suo tramonto agonistico. A Budapest, invece, è stato straordinario con un oro nei 1500 e uno nei 10 km, un argento nei 5 km e un bronzo nella staffetta mista 4x5km, mentre nei 10 km è arrivato secondo Domenico Acerenza. Sui 25 km, la vera maratona dell’acqua, è arrivato primo Dario Verani in 5 ore, 2 minuti 21 secondi e 50 centesimi (5h02’21”50), toscano di Cecina, laureato in economia a Pisa, allenato anche lui ad Ostia da Fabrizio Antonelli, diventato il “mago” dei fondisti italiani, dopo aver ereditato il posto dal livornese Stefano Morini. Senza dimenticare Simona Quadarella, bronzo negli 800 sl a Budapest, romana e attratta alla corte dell’aristocratico Circolo Canottieri Aniene, allenata quasi da subito da Christian Minotti.
Ma tra tanti record e medaglie un posto speciale deve averlo la staffetta 4×100 mista maschile. La staffetta mista è una gara speciale, una specie di inno nazionale, perché deve mettere insieme quattro atleti in grado di nuotare i quattro stili diversi, nell’ordine dorso, rana, delfino, crawl, che rappresentano la totalità del nuoto. E così Thomas Ceccon, Nicolò Martinenghi, Federico Burdisso, Alessandro Miressi, hanno realizzato l’impensabile e l’Italia ha battuto gli USA, i favoriti di sempre, per un soffio (28 centesimi di secondo), dopo una serie di sorpassi e controsorpassi come nella Fomula 1. Non si era mai visto e soprattutto non si era mai pensato. Ma loro sì. Ci hanno pensato, creduto e poi hanno realizzato un risultato che non ha precedenti nella storia.
Poi ci sono anche i tuffi, che hanno assaporato le medaglie già dai tempi di Klaus Dibiasi e Giorgio Cagnotto, il sincro, che le medaglie ha iniziato faticosamente a guadagnarsele, la pallanuoto, che è “Settebello” dai Giochi di Londra nel 1948 e di medaglie ne ha prese sempre tante da decenni, ma qui a Budapest è stata solo “argento”, nella eterna rivalità con la Spagna. Speriamo che non vengano dimenticati, nonostante il CT Sandro Campagna, oro olimpico come giocatore a Barcellona nel 1992, abbia detto che “l’argento si dimentica dopo una settimana”.
Allora cerchiamo di non dimenticarli e di imparare da loro.
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