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"L'ho presa bene"

Susie O'Neill sulle sue Olimpiadi 2000. Le considerazioni della Dott.ssa Monica Vallarin.

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"So che è solo una gara di nuoto, ma quando la rivedo per me è un fallimento. Sto ancora cercando di farmene una ragione dopo diciannove anni" dichiara tra le lacrime Susie O'Neill rivedendo la finale dei 200 farfalla femminili di Sidney 2000.

L'allora ventisettenne O'Neil era attesa a una vittoria agevole, presentandosi con in tasca il primato del mondo di specialità; dovette invece soccombere, davanti al pubblico di casa, alla statunitense Misty Hyman. "Ero troppo nervosa, forse arrogante, non avevo dormito la notte precedente la gara. Quando ho visto Hyman passare in testa ai 25 metri sono stata presa dal panico. Non pensavo che fosse una possibile avversaria. Dopo la gara mi sentivo svuotata, pensavo: e adesso?"

Nonostante i trentacinque titoli australiani, i due titoli e altre sei medaglie olimpiche in bacheca, O'Neill, come vedete, sta ancora cercando una risposta.

“QUANDO VINCE LO SVANTAGGIO” di Monica Vallarin

Ci sono circostanze agonistiche in cui una gara e’ molto più di una finale: il risultato atteso rappresenta spesso la conferma del tuo valore e tutti lo vedranno . Quando tutti pensano che sara’ facile , quasi naturale vincere, l’adrenalina e l’attivazione nervosa possono tenerti in uno stato di allerta che ti svuota di energia e ti toglie il sonno . Gli atleti ambiziosi e sensibili all’immagine pubblica ne risentono enormemente , temono di esse re giudicati , ma prima di tutto si giudicano interiormente in modo severo e se sbagliano, non se lo perdonano . La percezione dello svantaggio in alcune circostanze di gara può essere destabilizzante , diventando una variabile fuori controllo che ti annienta , ti sorprende , facendoti sentire inesperto, impreparato , talvolta indegno. E allora non si può dire che la gara sia andata male , perché da un certo punto di vista , la finale non l’ hai finita , sei uscito più o meno visibilmente dalla competizione , subendo uno svantaggio che non sei riuscito a gestire o a prevedere e che lascia un segno . Solo accogliendo la dimensione emotiva legata alla paura del fallimento o dell’errore, sarà possibile ricostruire la fiducia interna dell’atleta , affinché possa rimanere flessibile nelle strategie di gara e meno dipendente dal giudizio pubblico e dalla prevedibilità delle situazioni in gara.

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