Olympic First

“Perché cento si dedichino alla cultura fisica, bisogna che cinquanta facciano sport. Perché cinquanta facciano sport bisogna che venti si specializzino. Perché venti si specializzino bisogna che cinque si mostrino capaci di grandi prodezze”.

Quando De Coubertin scrisse questa sintesi della sua visione in “Memorie Olimpiche” era il 1927. A quel punto aveva capito bene quello che aveva voluto fare. C’era un patrimonio per tutti: la cultura fisica. Occorreva conquistarlo. Per farlo, ci voleva una chiave, ci voleva lo sport, una pratica atletica continuata che orientasse l’azione benefica del movimento, grazie all’attrattiva delle sue forme, al gusto del gioco e agli obiettivi che poteva mettere davanti giorno per giorno, a dare respiro all’azione da compiere.

Ma l’uomo non è un isola. De Coubertin lo sapeva. Sapeva che l’uomo ha bisogna degli altri, che servono gli altri per condividere quello che si fa e poterne godere e che ci vogliono gli altri per avere qualcuno da guardare, seguire, ammirare, e attingere da lui l’ispirazione per avanzare e cercare limiti verso cui configurarsi.

I Giochi Olimpici erano e sarebbero stati l’evento che celebrava tutto questo. Un movimento di popolo, il movimento olimpico, che cerca con tutte le forze di cui è capace pace, felicità e bellezza.

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