Lavoro sportivo, arrivano le prime sentenze e cresce la confusione

La riforma dello sport voluta dal precedente ministro per lo sport Vincenzo Spadafora non è ancora operativa (l’entrata in vigore è prevista a gennaio 2022 e a luglio 2022 per la parte riguardante il lavoro sportivo)  ma sta già improntando la giurisprudenza: una recente sentenza della Corte d’appello di Genova stabilisce un rilevante precedente in materia di inquadramento del lavoratore sportivo. Sul tema riceviamo e con grande piacere pubblichiamo un commento di Amelia Mascioli, avvocata e dirigente sportiva e dallo scorso settembre consigliera nazionale della Federazione italiana nuoto.

Amelia Mascioli FIN
Roma 05/09/2020 Stadio Olimpico
FIN XLII Assemblea Ordinaria Elettiva 2020
Photo Giorgio Scala/DBM/Insidefoto

 

Il mondo dello sport è in subbuglio, in ragione di una riforma tanto attesa, che però ci si aspettava diversa nelle modalità e nei contenuti.

Che ci fosse bisogno di mettere ordine è indubbio, ma fatta così la riforma apre le porte a preoccupazioni infinite che si vanno a sommare a quelle già sussistenti, generate da un anno di immobilismo causa Covid.

Le riforme, nel nostro sistema, traggono fondamento dall’orientamento che la giurisprudenza esprime in materia, in tempi non sospetti. E in effetti il mondo dello sport è sempre stato oggetto di diatribe, soprattutto in riferimento all’inquadramento dei lavoratori del mondo sportivo (siano essi tecnici o collaboratori amministrativo gestionali).

Il domandone è: quando un lavoratore dello sport deve essere inquadrato come collaboratore e quando come lavoratore dipendente o cosiddetto parasubordinato, affinché i titolari di associazioni o società sportive dilettantistiche possano dormire tranquilli? Questo l’eterno dilemma intorno al quale il mondo dello sport ha dovuto barcamenarsi, un po’ a braccio, un po’ improvvisando, un po’ facendosi strada fra le interpretazioni della giurisprudenza e degli istituti accertatori, questi ultimi spesso inclini a convertire ex abrupto tutte le collaborazioni in rapporti di lavoro dipendente… Tanto poi è nei tribunali che si gioca la partita, e lì quello che succede succede.

Sul tema, la Corte di Appello di Genova, con una pronuncia spiazzante di cui alla sentenza n. 248/2020 del 9.2.2021 anticipa il contenuto della riforma, stabilendo che il discrimine tra le due forme di inquadramento, collaboratore e dipendente, va ricercato non nella natura dilettantistica delle attività svolte dalla società o associazione sportive, quanto dal carattere di professionalità della prestazione resa. Come dire: se hai tempo libero da spendere all’interno del mondo sportivo perché sei un appassionato ed il tuo monte ore non supera alcuni standard, allora sei un collaboratore ed i redditi prodotti sono redditi diversi, con tutte le agevolazioni del caso. Se invece lavori nel mondo sportivo come impegno unico o prevalente allora svolgi attività in modo professionale e i redditi generati sono redditi da lavoro (dipendente o parasubordinato), con tutti i costi contributivi, previdenziali e fiscali.

La lettura di quanto dianzi riportato, è evidente, resta sempre nell’alveo della pura interpretazione, in cui è ammesso tutto ed il contrario di tutto, sempre ai danni ed a rischio di un unico interlocutore: l’operatore del mondo sportivo (sia esso associazione o società sportiva dilettantistica, tecnico o collaboratore di turno).

La cosa preoccupante è che ci si dimentica che gli operatori del mondo sportivo, siano essi costituiti in forma associativa o dilettantistica, sono per l’appunto dilettanti, il che vuol dire che non perseguono scopo di lucro, in quanto garanti di una funzione sociale che esercitano in luogo e per conto dello stato, a fronte del  cui espletamento il legislatore aveva riconosciuto una normativa dedicata, mutuata dal settore tributario.

Orientamenti della giurisprudenza come quello dianzi riportato ignorano de plano la funzione sociale a cui è vocato l’operato del mondo sportivo e in ragione della quale il legislatore consente (consentiva?) una maggiore flessibilità, per alleggerire i costi e garantendo il diritto allo sport per tutti, senza distinzioni e senza condizioni.

Se così non sarà più (cosa ancora poco chiara o quanto meno espressamente soggetta ad interpretazione), se le società dovranno operare in questo binario, lieviteranno inevitabilmente i costi, in quanto il sistema non è capace di sostenersi così per come concepito, ed inevitabilmente gli stessi costi verranno ribaltati sull’utenza finale, che vivrà un aumento poderoso della spesa da investire per garantire l’esercizio fisico. Questo semplicemente stravolgerà la funzione sportiva che non sarà più alla portata di tutti, ma sarà solo per pochi, in evidente spregio alla ratio della normativa.

In medio stat virtus, dicevano i latini.

Sarà praticabile una soluzione di mezzo, che garantisca il diritto allo sport, la sopravvivenza delle associazioni e società sportive ed al tempo stesso la tutela dei lavoratori sportivi, facendo un distinguo che esuli dalla mera considerazione del riempimento del tempo libero ex se considerato (come vorrebbe la Corte di Appello di Genova) e riconoscendo valore alla funzione sociale ed alla natura dilettantistica che gli organismi sportivi esercitano per la collettività?

Una cosa è certa, c’è tanto ancora da sistemare. E se prima della riforma c’era confusione, oggi ce n’è ancora di più.

Amelia Mascioli

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