Quando la storia insegna

Non si tratta di catastrofismo e neppure di pessimismo. Disperazione? Non credo. Forse tristezza, e pacata presa di coscienza.

Dire che il nostro movimento è ormai allo stremo non è raccontare una novità. Che poi chi ne fa parte non si arrenda come fa un soldato che sta combattendo in prima linea, anche questo non profuma di nuovo. Ma credo sorga spontaneo guardarsi indietro e osservare con occhi attenti ciò che è stato. Possiamo tranquillamente definire questi mesi come un periodo di guerra, non vedo alcuna differenza. Forse mancano le armi, ma sappiamo tutti che anche le parole possono essere un’arma. Anche i silenzi. Ecco: effettivamente abbiamo dovuto scontrarci con molte cose non dette, con molte richieste alle quali non è stata data risposta, con una pacata indifferenza nei nostri confronti. Onestamente, avrei preferito le armi.

Di recente ho letto, su consiglio di un caro amico, un bellissimo libro: Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar. È un autentico capolavoro, con il quale l’autrice rende umano un essere considerato divino dal suo popolo. L’imperatore: colui che è responsabile della bellezza e della tristezza del mondo. In realtà è un uomo, come tutti gli altri, con le sue fragilità e le sue peculiarità. Semplicemente non gli era concesso darle a vedere. È una lettera, che Adriano scrive al suo successore Marco Aurelio, e che raccoglie le riflessioni di un uomo che sta morendo.

Delle mille cose che questo libro poteva contenere, c’è un passaggio in cui l’imperatore parla del piacere del nuoto. Sì, Adriano descrive con malinconia di come la sua malattia lo costringa lontano dall’attività fisica: la corsa, l’andare a cavallo, le battute di caccia. Però partecipo ancora alla delizia del nuotatore carezzato dall’acqua. È l’unica concessione che la sua malattia gli fa: poter nuotare.

Ho trovato molte similitudini tra quanto era scritto e ciò che il nostro movimento sta vivendo, ma che in realtà lo sport in generale si trova a vivere. Una malinconica consapevolezza che, se non accade un miracolo, stiamo andando verso la fine. Non è retorica o polemica: è la semplice verità. Un’analisi accurata di quanto accaduto in questi mesi fa semplicemente emergere come, senza la doverosa attenzione, senza i contributi necessari, senza le riforme che volgono al miglioramento, non c’è redenzione.

Non sto cercando i colpevoli, le vittime, quali siano i malati o i feriti. Si tratta di una presa di coscienza, che si sta lasciando morire qualcosa che invece è essenziale, benefico, virtuoso, educativo, socialmente utile. E chi più ne ha più ne metta. E lo si sta lasciando morire con fredda indifferenza. Almeno un malato ha diritto alle cure.

Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti.

Un uomo che ha governato tra il 117 e il 138 d.C. comprendeva l’importanza della cultura e dello sport per fondare un impero solido, lungimirante e longevo. E il suo regno viene ricordato come un periodo aureo per l’impero di Roma.

Illustri uomini che state al potere, che giocate con il futuro delle persone, che ipotecate l’avvenire delle generazioni future, invece di complicarvi la vita con normative assurde, comitati scientifici discutibili e prese di posizione che vi ridicolizzano, perché non prendete spunto dagli esempi positivi che la storia vi regala? È gratis.

 

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