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Da soli al traguardo, ma mai senza squadra. Antonio Fantin dialoga con Riccardo Vernole

L'atleta e il tecnico raccontano la vera forza del lavoro di gruppo tra ambizione individuale, leadership credibile e spirito collettivo

Nell'ultimo articolo pubblicato sul suo blog personale di Substack, il pluricampione paralimpico di nuoto Antonio Fantin apre una riflessione profonda sul concetto di capitale umano all’interno del contesto sportivo, con ampie ramificazioni verso il mondo del lavoro, delle organizzazioni e della quotidianità. Lo fa intrecciando il proprio punto di vista di atleta con quello di un protagonista fondamentale del movimento paralimpico italiano: Riccardo Vernole, direttore tecnico della Nazionale di nuoto paralimpico dal 2009 al 2024, oggi figura di riferimento nelle Fiamme Oro e nel Comitato Italiano Paralimpico.

Fantin parte da un’immagine emblematica: l’atleta che taglia il traguardo è da solo, ma il percorso che lo ha portato lì è profondamente collettivo. Una maratona, spiega, è fatta sì di individualità e ambizione personale, ma anche di spirito di squadra, coordinamento, collaborazione. Per affrontare il tema, Fantin racconta di aver dovuto cambiare prospettiva, calandosi idealmente nei panni di chi guida e tiene insieme un gruppo: non più solo l’atleta che insegue i propri traguardi, ma il tecnico che trasforma obiettivi individuali in una visione comune.

L’intervista entra nel cuore del lavoro "dietro le quinte", partendo dal momento che più di tutti rappresenta il passaggio simbolico tra preparazione e gara: l’incontro negli spogliatoi prima di una competizione. “In quei minuti – racconta Vernole – tocco la corda del senso di responsabilità. È il momento per ricordare quanto si è lavorato per arrivare lì e per dare un senso collettivo alla fatica individuale”. Il vero valore, secondo lui, si celebra prima della gara, nel lavoro fatto, nel gruppo costruito.

Negli anni, osserva Vernole, il gruppo squadra si è ampliato, le esigenze sono cambiate, e con esse anche le modalità di gestione. Eppure, alcune bussole rimangono immutate: il bene del gruppo come fine ultimo, la necessità di una leadership competente ma capace di riconoscere e valorizzare le specificità dei singoli, e la consapevolezza che la sintesi delle differenze è il vero lavoro del coordinatore.

Alla domanda su come sintetizzare una formula gestionale efficace, Vernole propone tre capisaldi:

  1. Gratificare le persone che contribuiscono, esaltando il valore del loro lavoro
  2. Offrire autonomia all’interno di una struttura organizzata, perché libertà e responsabilità motivano
  3. Garantire un coordinamento equilibrato, capace di dialogare ma anche di decidere nei momenti chiave

Altro punto cruciale affrontato è la comunicazione delle scelte. Secondo Vernole, la chiave è la coerenza interna: “Devi credere davvero in ciò che dici. Solo così sei credibile agli occhi degli atleti o dei collaboratori”. La guida di una squadra, sostiene, lascia in chi la esercita la soddisfazione di aver costruito un ambiente rispettoso, non solo delle regole ma soprattutto delle persone.

Fantin e Vernole condividono l’idea che il vero obiettivo non sia soltanto la vittoria o la medaglia, ma la costruzione di un ambiente in cui le sfide sono condivise e il valore si misura anche in termini umani. Perfino la foto di squadra, racconta Vernole con ironia, è una sfida di coordinamento: apparentemente banale, è in realtà il simbolo di un’identità collettiva che si imprime nella memoria.

Nel finale, Fantin tocca un nodo centrale per chi vive sport individuali: come conciliare l’ambizione personale con il bene del gruppo? Vernole risponde parlando di "egoismo positivo": l’atleta che lavora al massimo per sé stesso e allo stesso tempo sa che il proprio impegno è carburante per tutta la squadra. È in quel momento che l’individualità si trasforma in forza collettiva.

Il messaggio conclusivo è chiaro: che si tratti di sport, lavoro o vita quotidiana, la qualità del capitale umano si misura nella capacità di trasformare ambizione in motivazione condivisa, e storie individuali in patrimoni comuni. Le esperienze, come ricorda Fantin, sono strumenti per migliorare la vita degli altri. Anche solo di chi legge.

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