Zero in condotta

Fra le abitudini più deteriori mutuate dal mondo del calcio e amplificate dai megafoni social c’è quella delle “pagelle”. 

Neanche il tempo di smontare le piastre dalla vasca e come funghi saprofagi dopo la pioggia spuntano ovunque opinionisti giornalisti esperti che si sentono in dovere di assegnare i voti ai protagonisti della manifestazione appena conclusa.

A me l’idea di ridurre un individuo a un numero fa orrore anche in ambito scolastico, ma pretendere di giudicare un atleta sulla base di una prestazione senza avere la minima idea del contesto nella quale è maturata; senza sapere quali fattori fisiologici, psicologici, ambientali hanno condotto a quel risultato, è semplicemente osceno. Tanto più quando la libertà di giudicare se la prendono soggetti che non saprebbero distinguere un pull buoy da una tavoletta.

“Eh, ma si fa per sorridere”: ma certamente, sai le risate che si fa una ragazza o un ragazzo che inciampa in una controprestazione dopo mesi di sacrifici e allenamento, magari perché la sera prima le è arrivato il ciclo o al ristorante dell’hotel gli hanno servito una pietanza avariata, e si vede arrivare sullo smartphone gli screenshot dello scherzoso “4” che simpaticamente avete deciso di affibbiargli? Come se la spassano i suoi tecnici e i genitori, quei genitori che poi vengono accusati di scarsa cultura sportiva? Perché ovviamente il giochino delle pagelle per funzionare ha bisogno di esagerazioni, nessuno si interessa di un cinque e mezzo. 

Davvero siete così a corto di dopamina da dover raccattare like sulle sfortune altrui? Una gara andata male per un nuotatore è una tragedia. Sono migliaia e migliaia di metri nuotati, tonnellate di pesi sollevati, centinaia di amici non incontrati, che nel giro di pochi secondi appaiono sacrifici inutili. 

È l’ambiente che lo circonda che permette a questa tragedia di evolvere in consapevolezza, elaborazione e crescita. Se l’ambiente diventa una brutta caricatura del pallone allora davvero ci meritiamo Mughini. 

Ph. ©Shutterstock

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