Viva Magnini

I “rumors” sui bordi vasca dicono un po’ sempre le stesse cose. Difficilmente sono cose davvero piacevoli. Dietro una facciata di convenevoli, lo spettacolo riserva un mondo che è tutt’altro che bonario e amabile verso i suoi protagonisti. Finito il momento dello splendore e dell’esaltazione c’è sempre l’abbondono, più o meno subdolo. Non piace chi perde il suo smalto, chi sbaglia, men che meno chi crolla o cede, a meno che non muoia. Non piace nemmeno chi si ridimensiona, ne chi vuol rimanere per troppo tempo. Un altro deve essere esaltato, non c’è spazio per tutti. Un altro deve essere usato per farci sentire dominanti. E’ un’altra di quelle leggi troppo umane che facciamo fatica ad ammettere.

rientri

Per questo i rientri non ci piacciono. Amiamo lo splendore, il successo, lo charme, non la decadenza. Il rientro di Filippo Magnini, pieno di entusiasmo e di buoni propositi, non poteva essere diverso, anche se la sua storia probabilmente lo meritava. Ci sono state molte letture. Non tutte sono state belle. “Poteva finire lì”, Aveva chiuso in bellezza”. “Cosa vuole ancora”, “lo hanno anche scagionato, poteva bastare”. “Io non mi sarei fatto vedere così”. ” Non penserà mica all’Olimpiade!”. “é stato bravo, però basta!”.

mito

Chi può negare di non essere stato almeno sfiorato da qualcuno di questi pensieri? Almeno per un attimo, magari per poi rigettarlo. Siamo così. Il logos sportivo vuole così. Il campione deve essere invincibile, memorabile, non umano. Il racconto della forza e della supremazia vuole così. E’ sempre lo stesso mito. Quello di Omero e di Cesare. Anche oggi è alla base del pensiero di massa.

Il titano dopo la sua impresa deve sparire per forza nella nebbia.

limiti

Eppure lo sport praticato non può fare a meno della realtà. Funziona solo su basi di verità e crolla quando vuole troppo accondiscendere con l’essere “Chanson de Geste”. No limits, spesso usato per esaltare, è stato molte volte l’epitaffio della tomba di qualcuno.

Essere uomo è il contrario: è avere limiti. Il fatto è che questi limiti non li sappiamo prima. Dobbiamo cercarli. Cercarli e accettarli è il lavoro che ci spetta per essere noi stessi. Un tipo che mi piace dice che il lavoro dell’uomo è imparare ad abitare i propri limiti. E’ giusto. Perché abitare vuol dire “ci sto dentro”, come si dice quando quando uno capisce che in quel modo ce la fa. Per esempio coi soldi. Abitare vuole anche dire che si può “finalmente respirare” e non credere che, quando le cose cambiano, debba per forza finire tutto.

Viva Magnini

Quando Filippo Magnini era il più forte del mondo, tutti abbiamo gioito. Avevamo qualcuno che trionfava e potevamo prendercene un po’. Eppure quando lo vedevamo su quel podio, doveva essere chiaro che non eravamo noi. Nessuno di noi poteva arrivare lì. Nessuno avrebbe mai vinto un campionato del mondo. Figuriamoci due.

Quando invece, due mesi fa, ci ha mostrato che vivere da nuotatore è una bella cosa, anche quando si sa che non si può vincere, allora eravamo noi. Quando ci ha fatto vedere che cercare obiettivi agonistici ed esserci, è un modo per non rinunciare alla propria doverosa ricerca di soddisfazione individuale, allora potevamo essere noi. E infine, quando ci ha fatto capire che  se lo amiamo, lo sport, è una parte importante della nostra ricerca di umanità, allora Filippo Magnini eravamo davvero noi.

Se il campione deve essere un testimone, è stata questa la sua testimonianza. Ora, e solo ora possiamo pensarlo come fratello e dire, una volta tanto senza troppa invidia: “Viva Filippo Magnini”.

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